Dalla bufera di Wikileaks all’asilo nell’ambasciata dell’Ecuador
ANSA
Ansa – È una partita a scacchi decennale quella che Julian Assange sta portando avanti coi governi, gli 007 e il sigillo ‘top secret’ che il suo Wikileaks è riuscito così tante volte ad aggirare. Una sfida di cui non si vede la fine nemmeno dopo l’archiviazione delle accuse di violenza sessuale all’attivista australiano che nel tempo ha condotto una lotta senza esclusione di colpi in nome della libertà di informazione, attirandosi però anche le critiche per i suoi metodi non sempre ortodossi.
Sono passati più di 10 anni da quando Assange lanciò la sua ‘rivoluzione corsara’, creando nell’ottobre 2006 una piattaforma web per pubblicare file segreti carpiti a cancellerie e istituzioni varie in giro per il mondo e immagazzinati da un server nascosto nella remota Islanda. Era per l’appunto Wikileaks, che ha rivelato scandali e verità scomode di tutti i tipi, dagli abusi e torture compiuti dagli Usa in Iraq e Afghanistan, ai segreti diplomatici di mezzo mondo nel cosiddetto ‘Cablegate’. Fino al recente ‘Vault 7’, riguardante lo spionaggio informatico della Cia.
Considerato un eroe “al servizio della verità” nella narrativa dei suoi non pochi fan, Assange è stato anche attaccato da più parti per taluni atteggiamenti da guru e comportamenti cinici. Nel 2010 sono arrivati i problemi legali, con le accuse (e l’annesso mandato di cattura internazionale) per gli abusi sessuali ai danni di due donne svedesi che gli sono stati contestati dalla procura di Stoccolma fino alla decisione di farle completamente decadere. Nel dicembre di quell’anno l’attivista, che si trovava a Londra, si presentò in una stazione di polizia e venne arrestato per poi venir rilasciato su cauzione fino a quando, dopo aver perso l’ultimo appello davanti alla corte suprema del Regno Unito per evitare l’estradizione in Svezia, nel giugno 2012 si rifugiò nell’ambasciata dell’Ecuador ricevendo l’asilo politico.
L’azione legale intentata nei suoi confronti era per lui un pretesto per limitare la sua attività scomoda e soprattutto per favorire una estradizione da parte delle autorità americane che con lui hanno un conto aperto da tempo. Le elezioni presidenziali del 2016, che potevano essere un punto di svolta nei suoi rapporti conflittuali con gli Usa, alla fine hanno influito ben poco. Per Donald Trump infatti, dopo un primo apprezzamento al fatto che Wikileaks avesse diffuso le imbarazzanti email del partito democratico e del capo della campagna di Hillary Clinton, John Podesta, ora l’arresto dell’attivista sarebbe una priorità. Si era intravista una possibile soluzione del caso all’inizio dell’anno, quando ancora alla Casa Bianca c’era Barack Obama. Assange aveva promesso di consegnarsi alle autorità Usa se il presidente uscente avesse concesso la grazia alla ‘talpa’ di Wikileaks e militare Usa Chelsea Manning, come è successo. Ma la ‘primula rossa’ del web ci ha ripensato, rimanendo dentro l’ambasciata londinese, e continuando la sua partita con la superpotenza.