Ansa – Cinquanta anni fa il tasso di disoccupazione era del 5% tra i bianchi e più del doppio, il 10,9%, tra i neri. Oggi è il 6,6% tra i bianchi e il 12,6% tra gli afro-americani. Negli ultimi 30 anni, il 13% dei bianchi non ha avuto assistenza sanitaria. Tanti, tantissimi. Ma pur sempre quasi la metà rispetto al 21% dei neri.
Da quel 28 agosto del 1963 in cui Martin Luther King (1929-1968) rivelò al mondo il suo famoso ‘sogno’ di parità e uguaglianza, sono stati fatti tantissimi passi sul fronte dei diritti civili. Alla Casa Bianca, a meno di un miglio dal Lincoln Memorial, il luogo del celebre discorso “I Have a Dream”, abita da 5 anni un presidente di colore, Barack Obama. Tuttavia, la differenza tra bianchi e neri resiste forte nelle diseguaglianze sociali ed economiche. Proprio Obama ricorda spesso ai suoi ospiti che anche Martin Luther King, già quel 28 agosto di 50 anni fa, aveva chiarissimo che la vera uguaglianza tra bianchi e neri si potrà avere solo quando ci saranno per tutti pari opportunità. Non a caso, nello Studio Ovale, il Presidente ha appeso, incorniciato alla parete, una copia del programma ufficiale di quella grande manifestazione di 50 anni fa, i cui obiettivi erano espliciti sin dal titolo: ”The March on Washington for Jobs and Freedom”. Lavoro e occupazione, perfino prima dei diritti di libertà. Un punto, questo della giustizia economica, che è stato al centro di uno degli ultimi discorsi di Barack Obama. «Le statistiche – spiegano dall’entourage del presidente – ci dicono che la povertà e la disoccupazione colpiscono in modo sproporzionato la popolazione nera. Non c’è alcuna contraddizione, tra la lotta per l’uguaglianza razziale e quella per colmare le differenze tra le condizioni di vita».
Detto questo, resta la magia di quel “sogno”. E il 28 agosto, è come chiudere un cerchio. Lo slogan della giornata è ”Let the freedom ring” (fai risuonare la libertà). E inevitabile riemergeranno le analogie tra i due leader, ambedue giuristi, avvocati a favore dei deboli e premi Nobel per la Pace.
Già nell’ottobre 2011, Obama inaugurò un monumento dedicato a Martin Luter King, eretto con colpevole ritardo. Il monumento è stato poi avvolto da cellophane per correggere una frase del dott. King incisa con troppa enfasi. Ora tutto è stato “aggiustato” e in questo 28 agosto riecheggiano i toni della campagna presidenziale del 2008, quando Obama legò il “sogno” di MLK ai suoi messaggi di ”Hope” “Change” e “Yes We Can”. Anche lo scorso novembre ha incassato un secondo plebiscito da parte della comunità nera. Tuttavia, Obama è sempre stato attentissimo a non presentarsi come il Presidente dei neri, ma di tutti gli americani. È consapevole che l’America del 2013 resta un paese spaccato. E basta poco per riaccendere la miccia dell’odio. Basti pensare a Trayvon Martin, il 16enne nero ucciso solo perché indossava un cappuccio da un vigilante, poi assolto. All’epoca Obama disse che Trayvon poteva essere ”suo figlio”. Detto questo, ha sempre esortato le organizzazioni afro a non piangersi addosso, a evitare l’apatia, il vittimismo. Anche con un occhio alla demografia, ha cercato in questi anni di diluire la “questione nera” nella più ampia “questione migratoria”, parlando di discriminazioni subite dai suoi “fratelli blacks”, come dai “latinos”, dagli asiatici, dalle donne, e da altre minoranze. Posizioni che gli hanno causato profonde frizioni con gli eredi di King, i custodi della tradizione della lotta per i diritti civili. Nel luglio del 2009, parlando al centenario della Naacp, la più grande organizzazione afro-americana, disse che «il destino di ognuno è nelle proprie mani, guai a cercare scuse per i nostri fallimenti». Poi, rivolgendosi ai deputati del “Black Caucus” fu ancora più tagliente: «È tempo di togliersi le pantofole, finirla di lamentarsi sempre e scendere in strada al mio fianco».
Ma questo 28 agosto non c’è spazio per le polemiche: tantissimi sono con Barack, lungo la Reflecting Pool, a ricordare l’insegnamento radicale ma pacifico, intransigente ma non violento, del dott. King.