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17:08pm12 Novembre 2013 | mise à jour le: 12 Novembre 2013 à 17:08pmReading time: 4 minutes

Nassiriya 10 anni dopo: la ferita è ancora aperta

Ansa – È il 12 novembre 2003 il ‘giorno nero’ per la missione italiana in Iraq. Quel giorno, in un attacco alla base Maestrale a Nassiriya, morirono 19 italiani (12 carabinieri, 5 soldati e due civili). La missione militare era iniziata pochi mesi prima, a giugno. A provocare la strage, un camion imbottito di esplosivo lanciato a tutta velocità contro la palazzina di tre piani che ospitava i carabinieri della Msu (Multinational specialized unit).

La più grande disgrazia per le forze armate italiane dalla fine della seconda guerra mondiale. Il camion ha forzato il posto di blocco all’entrata della base, situata nella vecchia sede della Camera di commercio locale: gli occupanti hanno aperto il fuoco contro i militari a guardia dell’ ingresso, che hanno risposto al fuoco senza però riuscire a fermare il mezzo. Travolte anche le barriere passive (reti e fili spinati) poste a difesa della struttura.

Si è parlato di quattro kamikaze e di 150-300 chili di esplosivo usati nell’azione. L’esplosione ha sventrato gran parte dell’edificio, posto sulle rive del fiume Eufrate e danneggiato una seconda palazzina dove aveva sede il comando. Nel cortile molti mezzi militari hanno preso fuoco. In fiamme anche il deposito delle munizioni. Un cratere si e’ formato nel luogo dell’ esplosione.

Sotto le macerie sono rimasti 12 carabinieri della Msu (Enzo Fregosi, Giovanni Cavallaro, Alfonso Trincone, Alfio Ragazzi, Massimiliano Bruno, Daniele Ghione, Filippo Merlino, Giuseppe Coletta, Ivan Ghitti, Domenico Intravaia, Horatio Maiorana, Andrea Filippa);

5 uomini dell’ esercito (Massimo Ficuciello, Silvio Olla, Emanuele Ferraro, Alessandro Carrisi e Pietro Petrucci);

due civili, il regista Stefano Rolla, che stava facendo un sopralluogo per un film sulle missioni di pace e l’ operatore della cooperazione internazionale Marco Beci.

«I 19 italiani morti a Nassiriya – ha detto Giorgio Napolitano – furono vittime di una inaccettabile e vile barbarie e sono il simbolo di un paese che crede nella necessità di uno sforzo comune per la sicurezza e la stabilità. Sono il simbolo di un impegno forte a tutela dei diritti fondamentali dell’uomo e per la cooperazione pacifica tra i popoli».

La strage di Nassiriya in questo decimo anniversario «assume un significato più pregnante; è, in realtà, più doloroso inserendosi in un tempo che appare per certi versi brevissimo, per altri versi lunghissimo: fatto, cioè, di giorni interminabili, segnati dall’assenza dei nostri cari e forse, a volte, da ripetere domande e attendere risposte che sembrano non arrivare».

È un passo dell’omelia che l’ordinario militare per l’Italia, monsignor Sandro Marcianò, ha pronunciato nella messa, celebrata nella basilica di Santa Maria in Ara Coeli in Campidoglio, nella giornata del ricordo dei caduti nelle missioni internazionali di pace. «Nelle missioni di pace – ha ricordato monsignor Marcianò – i nostri militari portano avanti opere di difesa e di ricostruzione, di lotta alla povertà ed alla discriminazione, di cura della sanità e dell’educazione, promuovendo i fondamentali diritti umani che questo equilibrio richiede e senza i quali non c’è giustizia. Costruire la pace – ha aggiunto – significa non fermarsi al proprio utile, non cercare il proprio interesse ma, piuttosto, estendere la vita, vivere le relazioni, organizzare il lavoro, affrontare la politica, governare la nazione, stabilire l’ordine internazionale, al servizio di quel bene comune che è bene di tutti e, per questo, di ogni persona e dell’intera comunità umana. Quel bene – ha concluso l’ordinario militare – che ha portato i nostri fratelli caduti a ritenere che donare la propria vita, a difesa della vita altrui, fosse più grande di ogni altro bene, del bene della stessa vita».

«Oggi, come dieci anni fa e come sempre finché vivrò voglio stringermi alle famiglie delle vittime della strage di Nassiriya, di cui fui testimone e in cui, per un puro caso, non rimasi coinvolta anch’io», ha detto Barbara Contini, responsabile esteri del Centro Democratico, governatrice della regione irachena che comprendeva Nassiriya all’epoca del tragico attentato. «Quel giorno avrei dovuto essere alla base ma il capo della scorta non si sentì bene e fui costretta a rimandare la visita di 24 ore. Non dimenticherò mai ciò che vidi sul luogo dell’attentato e il dolore muto dei colleghi dei nostri caduti. Una strage che forse si sarebbe potuta evitare se si fosse chiuso il primo ponte come chiedevamo a tutti i livelli da Bassora in seguito all’insediamento dei nostri uomini nell’area. Ma oggi non è certo il giorno della polemica. È il giorno del ricordo delle vittime di quel giorno e con loro – ha concluso Contini – di tutte le vittime italiane nelle tante missioni di pace che vedono i nostri ragazzi nel mondo operare con professionalità, eroismo e umanità straordinaria».

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