Oltre 5.000 persone avevano reso omaggio alle spoglie mortali di Arturo Gatti nella giornata di domenica al Salone funerario Magnus Poirier di Montreal Nord ed un’altra marea di gente è stata registrata lunedi sulla via Dante antistante la chiesa Madonna della Difesa dove si sono svolte le esequie e dove 36 anni fa Arturo era stato battezzato. Pugili, arbitri, promotori, persone direttamente o indirettamente implicate nel mondo del pugilato, molti venuti dagli Stati Uniti, tanti amici e gente comune attratta dalla tragedia che ha investito la famiglia Gatti, una tragedia consumatasi in Brasile dove l’ex-giovane pugile italo-canadese è stato assassinato sembra dalla moglie brasiliana Amanda Rodriguez.
Una cerimonia religiosa commovente seguita da centinaia di persone, quelle che sono riuscite a trovare un posto in chiesa, ha fatto da cornice all’ultimo saluto a questo sfortunato interprete del pugilato mondiale, un atleta che per anni ha monopolizzato con le sue gesta, nella vittoria come nella sconfitta, l’attenzione di milioni di appassionati e sostenitori di questo sport.
Nell’attesa dell’arrivo del convoglio funebre, ho chiesto a Donato Paduano quale ricordo può serbare di Arturo. «Arturo – ha detto – aveva la boxe nel sangue; mi ricordo negli anni ’70 quando io mi allenavo nella palestra di Roger Larrivée, lui era lì quasi tutti i giorni col fratello Joe ad osservarmi. In questi giorni ho sentito tante cose su Arturo, ma nesuno ha fatto il nome di una persona, colui che praticamente lo ha avviato al pugilato e cioè Dave Campanile che ne ha preso cura quando aveva 10 anni e lo ha guidato fino a 20 anni inculcandogli praticamente l’arte della boxe. Arturo è stato un grande e non doveva finire così».
Un momento toccante della cerimonia in chiesa è stato quando l’arbitro Jerry Bolan, venuto dagli Usa, ha consegnato alla mamma di Arturo, la signora Ida, la corona di campione del mondo vinta contro Gianluca Branco e persa contro Floyd Mayweather, è stato un gesto bellissimo accolto con scroscianti applausi.
«E’ stato uno dei grandi, io lo considero il secondo Graziano – ha detto Gaby Mancini anch’egli ex-pugile -. E’ stato un grande campione di cui il Quebec deve andare fiero come lo deve essere per i vari Greco e Paduano. Arturo aveva l’ambizione di riuscire e ha dato sempre il massimo per raggiungere i suoi obiettivi. Ha perso il padre da giovane e di lui si è preso cura il fratello Joe che abitava nel New Jersey ed è stato in quello Stato americano che Arturo ha iniziato la sua ascesa nel mondo del pugilato professionistico raggiungendo le massime vette. Arturo era un generoso, non si tirava mai indietro quando c’era da aiutare qualcuno, anche la rete televisiva HBO gli deve molto perché senza i suoi combattimenti forse nemmeno esisterebbe. Arturo – conclude Gaby – aveva un cuore da leone ed un grande carisma; la sua scomparsa è una grande perdita per il pugilato e per la nostra comunità».