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20:41pm25 Febbraio 2009 | mise à jour le: 25 Febbraio 2009 à 20:41pmReading time: 8 minutes

La storia di un’intesa

Ottanta anni fa, esattamente l’11 febbraio 1929, il cardinale segretario di Stato Pietro Gasparri e il presidente del Consiglio Benito Mussolini firmano i Patti lateranensi nel palazzo di San Giovanni in Laterano. Una firma che pose fine a una lunga serie di tensioni, che chiuse il contenzioso lasciato aperto dal Risorgimento.

ROMA – Una firma che sancì un mutuo riconoscimento tra il Regno d’Italia e lo Stato Vaticano, e che si lasciava alle spalle le frizioni suscitate dall’Unità d’Italia e la conseguente nascita di un regno unitario. Così, da una parte il cardinale segretario di Stato, card. Pietro Gasparri, e dall’altra Benito Mussolini, capo del Fascismo e primo ministro italiano, nel Palazzo Lateranense mettevano fine a contrasti, anche se non bastarono a una completa pacificazione.

In realtà, i Patti consistevano in due distinti documenti: in uno, il Trattato, si sanciva il riconoscimento dell’indipendenza e la sovranità della Santa Sede e ufficialmente fondava lo Stato della Città del Vaticano; nell’altro, il Concordato, si definivano le relazioni civili e religiose in Italia tra la Chiesa e il Governo, tra il potere secolare e quello temporale. A questi documenti, si aggiunse una convenzione finanziaria, per regolare le questioni economiche nate dopo le spoliazioni degli enti ecclesiastici.

I precedenti storici – Dopo la breccia di Porta Pia (20 settembre 1870) e la conquista di Roma, l’allora papa Pio IX (Giovanni Mastai Ferretti) si dichiarò prigioniero e non volle riconoscere il Regno d’Italia; poi, il 13 maggio del 1871, il governo italiano cercò di regolare i rapporti con il Vaticano attraverso la legge delle guarentigie, mai riconosciuta dai pontefici. Con essa, al Papa veniva garantita l’inviolabilità della persona, gli onori sovrani, il diritto di avere al proprio servizio guardie armate a difesa dei palazzi, Vaticano, Laterano, Cancelleria e villa di Castel Gandolfo. Inoltre, questi immobili erano sottoposti a regime di extraterritorialità, ed erano quindi esenti dalle leggi italiane, con conseguente libertà di comunicazioni postali e telegrafiche e il diritto di rappresentanza diplomatica. Infine, si garantiva un introito annuo di 3.250.000 lire (circa 14,8 milioni di euro attuali) per il mantenimento del Pontefice, del Sacro Collegio e dei palazzi apostolici. Considerata un atto unilaterale dello Stato, fu respinta dalla Chiesa. “Mostruoso prodotto della giurisprudenza rivoluzionaria”, così la definì papa Mastai Ferretti.
Poi, i rapporti tra Chiesa e Stato si incrinarono ancora quanto, nel 1874, la Curia romana vietò esplicitamente ai cattolici, con la formula del “non expedit” (“non conviene”), la partecipazione alla vita politica. Soltanto nell’età giolittiana tale divieto sarebbe stato eliminato progressivamente, fino al completo rientro dei cattolici “come elettori e come eletti” nella vita politica italiana.

Libera Chiesa in libero Stato – Così, con un trattato, si riconosceva l’indipendenza e la sovranità della Santa Sede e nasceva lo Stato della Città del Vaticano; con diversi allegati, fra cui, importante, la Convenzione Finanziaria; e il Concordato che definiva le relazioni civili e religiose in Italia tra la Chiesa ed il Governo. Inoltre, il nuovo Stato, denominato “Città del Vaticano”, era esentato dalle tasse e dai dazi sulle merci importate e riceveva un risarcimento di “750 milioni di lire (circa 3 miliardi di euro odierni) e di ulteriori titoli di Stato consolidati al 5% al portatore, per un valore nominale di un miliardo di lire (pari a circa 4 miliardi di euro attuali)” per i danni finanziari subiti dallo Stato pontificio in seguito alla fine del potere temporale. A seguito del concordato, il Papa acconsentì di sottoporre i candidati vescovi e arcivescovi al governo italiano per richiedere ai vescovi di giurare fedeltà allo stato italiano prima di essere nominati, e di proibire al clero di prendere parte alla politica. Prima dei Patti Lateranensi, l’unico vescovo che non doveva giurare fedeltà all’Italia era il vicario del Papa, ovvero il vescovo di Roma. Grazie ai Patti, il cattolicesimo divenne religione di stato, con conseguenze importanti sul sistema educativo, con l’istituzione dell’insegnamento della religione cattolica, già esistente ma con modalità diverse. Da parte sua, il governo italiano acconsentì a rendere le sue leggi sul matrimonio e divorzio conformi a quelle della Chiesa cattolica, e di esentare il clero dal servizio militare.

Le trattative segrete – Ovviamente, un patto così importante che portava alla risoluzione della ‘questione romana’ non avvenne per caso, ma grazie a una serie di trattative segrete sull’iniziativa di tre zelanti sacerdoti: padre Giovanni Genocchi dei Missionari del Sacro Cuore, don Giovanni Minozzi, fondatore, con padre Giovanni Semeria, dell’Onmi, Opera nazionale maternità e infanzia. I tre si riunirono, secondo quanto riferì quest’ultimo, in casa di suoi parenti per trovare un modo di riallacciare i rapporti tra Stato e Chiesa. Fu poi padre Genocchi che si recò dal cardinale Pietro Gasparri per consegnare il risultato del loro lavoro. L’alto prelato della Curia romana rimase “trasecolato” per l’iniziativa personale dei tre sacerdoti. Tre anni prima della firma, il 26 agosto 1926, furono designati ufficiosamente e informalmente due incaricati: uno dal governo Mussolini e l’altro da parte di papa Pio XI. Per l’Italia, fu scelto Domenico Barone, per il Vaticano l’avvocato concistoriale Francesco Pacelli, fratello di Eugenio Pacelli, che sarebbe poi diventato prima segretario di stato e poi Papa con il nome di Pio XII. Come data per la firma dei patti si scelse l’11 febbraio, giorno in cui ricorre l’apparizione di Nostra Signora di Lourdes.

Il percorso legislativo – Qualche mese dopo, il 23 aprile 1929, iniziò il dibattito in Senato per la ratifica dei Patti Lateranensi, che si concluse il 25 maggio con un voto favorevole. Non mancarono le discussioni e le polemiche, fuori e dentro l’Aula. Tra i sei senatori che votarono contro, c’era Benedetto Croce. La legge fu poi votata anche alla Camera, con due dissenzienti. Poi, il 7 giugno dello stesso anno, arrivò lo scambio di ratifiche con una cerimonia solenne in una saletta dei Palazzi apostolici, dove Mussolini fu ricevuto con tutti gli onori. Nello stesso giorno, alle dodici esatte, un’ora dopo la partenza del Duce dal Vaticano, i Patti entrarono in vigore, e nacque così lo Stato del Vaticano. Subito dopo, i Carabinieri lasciarono l’ormai ex territorio italiano, passato al Vaticano, alle Guardie Svizzere in alta uniforme. Alla mezzanotte dell’8 giugno, entrarono in vigore le sei leggi principali del nuovo Stato, promulgate dal Pontefice subito dopo il mezzogiorno del giorno 7. Tra cui la Legge Fondamentale, che all’art. 1 prevede che il Sommo Pontefice è sovrano dello Stato della Città del Vaticano.

Nel 1948 la Costituzione, con l’articolo 7, riconosce i Patti: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”, con le modifiche apportate al Concordato nel 1984. Rientrando nella prima parte della carta costituzionale, ogni modifica ai Patti può avvenire solo attraverso la modifica della stessa Costituzione, e in ogni caso con un mutuo accordo tra Stato e Santa Sede. In questo modo, l’accordo non è più unilaterale come era la legge per le guarentigie.

Modifiche e dibattiti successivi – Nel 1984, durante il primo Governo Craxi, fu rivisto il Concordato, ma non il Trattato; scopo, allora, era quello di togliere la clausola che riguardava la religione di Stato della Chiesa cattolica in Italia. Dopo la revisione, seguì una nuova firma, stavolta tra Bettino Craxi, presidente del Consiglio, e il cardinale Agostino Casaroli, in rappresentanza della Santa Sede il 18 febbraio di quell’anno. Con le modifiche, si stabiliva che il clero cattolico venisse finanziato da una frazione del gettito totale Irpef con l’otto per mille, e che la nomina dei vescovi non richiedesse più l’approvazione da parte del governo italiano. Due modifiche importanti riguardavano il matrimonio e l’ insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Questa, da obbligatoria divenne facoltativa, mentre per il matrimonio si stabilì che quello cattolico poteva essere trascritto dall’ufficiale di stato civile e produrre gli effetti riconosciuti dall’ordinamento giuridico italiano; inoltre, si mettevano delle limitazioni al riconoscimento in Italia delle sentenze di nullità matrimoniale pronunciate dai tribunali della Chiesa, cosa che prima avveniva in via automatica. Anche in questo caso, così come nel 1929, fu un uomo laico a firmare il concordato e le sue successive modifiche.
Di recente, nel 2006, il concordato è stato messo in discussione da alcune forze politiche, principalmente dal partito della Rosa nel Pugno. Secondo queste critiche i rapporti tra Stato e Chiesa dovrebbero essere nuovamente rivisitati. Per quanto sancisce la Costituzione italiana, non si può proporre – e quindi modificare – il Trattato o il Concordato o le leggi ad esso collegate perché non sono ammessi referendum che modifichino i trattati internazionali, tra i quali rientrano i Patti Lateranensi.

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