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14:50pm8 Giugno 2021 | mise à jour le: 8 Giugno 2021 à 14:50pmReading time: 5 minutes

Quando l’arte aiuta a non dimenticare

Quando l’arte aiuta a non dimenticare
Photo: Foto M. Morsella"Internati italiani a Petawawa, 1940", opera di Faustina Bilotta esposta alla mostra "Montréal à l'italienne", al Museo P:ointe-à-Callière

Faustina Angiolina Bilotta e l’omaggio alle famiglie degli internati esposto alla mostra “Montréal à l’italienne”

Si intitola “Internati italiani a Petawawa, 1940”, ed è una stampa su tela che riproduce, su cinque pannelli rettangolari nel senso della lunghezza, delle caselle quadrate in cui sono incisi, in ordine alfabetico, i nomi dei 600 italo-canadesi che furono internati a Petawawa a partire dal 1940.

Con il loro nome si trova anche la scritta “Prisoner of war mail – Free”, alcuni timbri e il numero che fu assegnato ad ogni prigioniero. Il pannello centrale reca in alto la scritta “Aspettando le scuse” in tre lingue, con una foto di lavoratori italiani inquadrata dalle bandiere italiane e canadesi mentre in basso, dopo i nomi delle 13 donne internate si trovano altre due foto quella di una nave, la partenza, e quella della dogana, l’arrivo.

L’opera, esposta al Museo Pointe-à-Callière nell’ambito della mostra “Montréal à l’italienne” (in cartellone fino al 9 gennaio 2022), è stata ideata e concepita da Faustina Angiolina Bilotta che da tanti anni si occupa delle tematiche relative all’immigrazione.

 

Come è nata l’idea di realizzare questi pannelli con i nomi degli internati?  

«È nata – spiega l’autrice – con la volontà di rendere un omaggio a quanti furono internati durante la Seconda guerra mondiale e con il desiderio di far conosce a tutti questo lato della nostra storia ancora poco noto perfino alla nostra comunità.

Ho pensato a tutte quelle donne che sono rimasta da sole con i bambini; agli uomini che sono stati internati, ai sacrifici fatti per affermarsi, per conquistarsi un posto nella società, ai loro “business” che furono annientati. Se così non fosse stato, molto probabilmente la nostra comunità sarebbe stata ancora più “forte” di quello che è attualmente.

Un particolare della sua opera con i nomi degli internati (donne e uomini) e le foto della partenza e dell’arrivo

È evidente che questa storia dell’internamento ha creato un forte pregiudizio perché penso che anche se hai una certa idea politica non per questo tu debba essere condannato. Certo, alcuni di loro si dicevano fascisti ma non di più e questo non ti permette di internare una persona.

In quelle 600 caselle ci sono 600 storie che io ho letto, storie raccontate grazie al progetto “Gli italocanadesi come stranieri nemici: ricordi della seconda guerra mondiale”. (http://www.italiancanadianww2.ca/it/villa/home) del Columbus Centre e Villa Charities di Toronto che ha raccolto i ricordi personali di internati, stranieri nemici e loro familiari grazie al lavoro di tante persone tra cui, in particolare, il direttore esecutivo Giulio Recchioni, la direttrice del progetto Lucy Di Pietro e il ricercatore Travis Tomchuk. Dunque, ho voluto rendere un omaggio a queste persone e rendere pubblici tutti quei nomi.

Una volta definito il progetto – continua Faustina Bilotta – l’ho presentato al Congresso Nazionale degli Italo-Canadesi che mi ha aiutato a realizzarlo e che ha pensato che la mostra al Museo P.a.C. potesse essere la vetrina giusta per esporlo. Per la realizzazione ci tengo a ringraziare oltre che il CNIC, Paolo Ruiz per la grafica e la tipografia “Primex” per la stampa su tela».

 

Dal Molise a Montréal

Faustina Bilotta è nata a Casalciprano, in provincia di Campobasso ed è arrivata a Montréal nel 1963, all’età di 16 anni. «Ringrazierò sempre mia sorella Maria e mio cognato Carmine che mi hanno dato l’opportunità di venire qui come studentessa. Erano i tempi – spiega – in cui a noi italiani ci obbligavano a frequentare le scuole anglofone protestanti. Non potevamo scegliere tra scuole anglofone e francofone e ho sempre trovato che fosse un’ingiustizia. Io poi sono riuscita a frequentare la Fashion Art Accademy a Montréal ottenendo il diploma di stilista di moda, settore nel quale ho lavorato ma più tardi mi sono inscritta all’UQAM, università francofona, dove ho ottenuto un “Baccalauréat” in Storia dell’arte. Ho avuto in seguito due bellissimi figli, Marco e Paolo, e tre meravigliosi nipoti che parlano tutti l’italiano: Carlo di 14 anni, Alba di 13 e Cara di 11.

Faustina in compagnia dei suoi nipoti

Da molto tempo – aggiunge – svolgo un’intesa attività di volontariato. Sono stata per diversi anni membro del consiglio d’amministrazione del CNIC e da 13 anni sono presidente del “Collectif des femmes immigrantes du Québec” https://www.cfiq.ca/ tel.: 514-279-4246), un organismo senza fini di lucro che aiuta gli immigrati ad integrarsi nella società quebecchese».

Tra le altre cose Faustina è stata anche la realizzatrice del concorso “Il Piccolo Leonardo” che durante la Settimana Italiana premia i migliori disegni dei bambini: «Voglio che la nostra cultura e soprattutto l’arte facciano parte delle nuove generazioni ma non solo di italiani, di tutti. Invitare i bambini a disegnare le regioni italiane è anche un modo per avvicinarsi alle loro radici, per conoscere e scoprire le loro origini e devo dire che i bambini hanno sempre fatto dei disegni straordinari.

Gli immigrati delle prime generazioni – conclude Faustina con una considerazione – hanno lavorato forte per riuscire nella società, per crearsi una posizione, per comprarsi una casa, per permettere ai loro figli di studiare. Questi figli sono nati qua, li abbiamo “dati” al Québec. Oggi noi italiani del Québec siamo una potenza in campo economico, politico, scientifico, culturale, gastronomico, ma nonostante questo continuiamo a soffrire di certi pregiudizi e a volte siamo trattati con un certo “folklore”. Forse nella società quebecchese ci vorrebbe un po’ più di pluralismo».

 

 

 

 

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