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14:18pm21 Settembre 2021 | mise à jour le: 21 Settembre 2021 à 14:21pmReading time: 7 minutes

Una tragicommedia chiamata dogana

Una tragicommedia chiamata dogana
Photo: Foto cortesiaLa vacanza di Giovanni Liotti in Canada è durata lo spazio di 24 ore

La storia di Giovanni, di Gabriele e di una vacanza a Montréal finita ancora prima di iniziare

 

Questa “avventura” ve la racconto così come mi è stata riferita, sotto forma di commedia teatrale perché spesso la realtà supera la fantasia. Parla da sola. Ogni commento è superfluo.

PROLOGO – Due persone, unite da una stessa passione, quella del mondo dell’animazione in 3D, entrano in contatto tra di loro, si scrivono, chattano, discutono del mondo dell’animazione finché uno dei due, Giovanni Liotti, 24 anni, che abita ad Avellino, decide di prendersi una vacanza e di andare a trovare l’altro, Gabriele Ranfagni, che risiede a Laval e che lavora già in questo campo. L’esperienza del secondo potrebbe tornare un giorno utile al primo.

ATTO PRIMO – Giovanni prepara le valigie e il 9 settembre sbarca a Montréal con un volo Air Canada, via Roma e Parigi, intorno alle ore 18:00. «In genere – racconta Giovanni che sta studiando animazione privatamente – mi organizzo così: lavoro per una metà dell’anno e per l’altra metà mi pago una bella vacanza perché mi piace viaggiare. In questo modo ho già visitato diversi paesi e mi sono detto: perché no anche il Canada, tanto più che Gabriele può ospitarmi? La mia idea era di stare un paio di mesi, visitare il Québec e il Canada e di concludere il mio viaggio a New York da dove sarei tornato in Italia. Premetto che prima di partire ho fatto tutti i documenti necessari, comprese le due vaccinazioni antiCovid-19 (con tanto di traduzione certificata) e il test risultato negativo».

 

ATTO SECONDO – «Al mio arrivo – prosegue Giovanni – ho aspettato quasi tre ore prima di poter presentare il passaporto alla dogana. C’era una marea di gente, una fila lunghissima e forse, per smaltirla più rapidamente, alcuni di noi sono stati indirizzati verso gli uffici dell’Immigrazione.

Il doganiere, un certo A. Dvelin, tale era il suo nome sulla divisa, mi ha chiesto i motivi del mio viaggio. Tutti i dialoghi si sono svolti in inglese. Ho spiegato i motivi: per turismo, per visitare un amico e andare a vedere New York. Il doganiere non mi ha creduto e mi ha chiesto dove sarei andato ad alloggiare a Montréal. Ho mostrato sul mio telefono l’indirizzo di Gabriele a Laval e lui mi ha preso il telefono dalle mie mani e si è messo a consultare cosa c’era. Ho pensato: beh, darà un’occhiata poi me lo restituirà,  tanto non ho nulla da nascondere. Invece ha iniziato a scorrere tutte le mie chat e ad ascoltare i miei audio con Gabriele in cui parlavamo del suo lavoro o di cose inerenti al mondo dell’animazione, tutto, ovviamente, in italiano.

Dunque non ha creduto a quello che ho detto, presumendo dalla sua arbitraria analisi delle mie chat e dei miei audio, e senza conoscere o parlare l’italiano, visto che non ha mai mostrato segno di poterlo fare, che in realtà io fossi a Montréal non per turismo ma per lavorare senza autorizzazione. Ma poi, anche se fosse stato in grado di capire l’italiano, cosa avrebbe potuto dedurre da qualche frase letta qua e là fuori contesto? Diciamo che ha interpretato tutto a suo piacimento e come “risposta” mi ha detto che non poteva lasciarmi entrare in Canada e chi mi avrebbe fatto un foglio di via.

Non c’è stato verso di fargli cambiare idea. Mi ha fatto aspettare ancora un po’, ormai erano le 10 di sera passate. Avevo una stanchezza terribile e mi sentivo come un ladro che non aveva rubato nulla. Mi ha preparato il foglio di via per il giorno dopo e mi ha intimato: domani, alle 16:50 precise devi chiamarmi attraverso il “black phone” interno dell’aeroporto, un telefono di servizio, e se non lo fai per te ci sarà un mandato d’arresto! Sono sbiancato, ho avuto paura, non sapevo più cosa fare e dire. Ma dove ho sbagliato? – pensavo tra me e me – eppure non ho fatto niente, sono solo “colpevole” di voler fare il turista, visto che non avevo la minima intenzione di installarmi a Montréal per lavorare.

E poi ho chiesto: dove passo la notte? Gabriele quella sera non poteva venirmi a prendere, inoltre non ha la macchina e andare io da lui in taxi per poi tornare in aeroporto qualche ora dopo sarebbe stato dispendioso e poco conveniente. Il doganiere in poche parole mi ha detto: arrangiati, rimani in aeroporto!»

 

ATTO TERZO – «E così – prosegue nel suo racconto Giovanni – ho passato qualche ora della notte in modo surreale, sdraiato su una panchina dell’aeroporto, al freddo, con la valigia accanto, in condizioni morali e fisiche pessime! Per fortuna che attraverso delle videochiamate ho avuto almeno il sostegno e l’incoraggiamento dei miei genitori, della mia ragazza e di alcuni amici. Gabriele era dispiaciutissimo: non solo ti invito a casa mia – ha detto – ma a causa di ciò ti sto facendo passare pure i guai!

Tra una videochiamata e l’altra sono arrivate le 16:50 del 10 settembre. Ho fatto la telefonata dal “black phone” e un poliziotto è venuto a prendermi per scortarmi al check in dove mi hanno richiesto le stesse cose del giorno prima e poi mi hanno fatto il biglietto di ritorno immediato per Parigi? Parigi? – mi sono detto meravigliato – ma io abito ad Avellino, non a Parigi, come faccio a tornare a casa? Oltre al danno pure la beffa. Non hanno voluto sentire ragioni e così ho dovuto chiamare un amico e farmi fare il biglietto aereo Parigi-Napoli. Un’assurdità nell’assurdita! A quel punto non avevo più parole e mi sono imbarcato per Parigi scortato fino al gate.

Arrivato a Parigi la mattina dell’11 settembre sono stato accolto da altri poliziotti, quasi fossi un ricercato speciale, che mi hanno posto le stesse domande dei doganieri canadesi, ai quali ho dato le stesse risposte in una specie di teatrino dell’assurdo. Dopo altre attese e altri controlli del passaporto mi hanno lasciato andare e finalmente, diverse ore dopo, ho potuto prendere l’aereo per Napoli. E la cosa “divertente” è che ho anche ricevuto dei punti-bonus da parte di Air Canada che non penso proprio che mi rivedrà presto!»

EPILOGO – «Mi sono sentito un criminale. Vuoi vedere che ho sbagliato qualcosa e non me ne sono nemmeno accorto? È stata davvero una brutta avventura. Neanche quando sono andato in Israele mi hanno chiesto tutte queste cose, senza considerare i soldi spesi per niente, dato che a parte l’aeroporto, i doganieri e i poliziotti non ho visto nulla. Ora – conclude Giovanni, amareggiato da tutta questa vicenda – mi è venuta anche l’ansia di andare all’estero».

Ma il Canada non è il paese della difesa dei diritti delle persone?

 

Gabriele: «Un comportamento inaccettabile»

«Penso sia giusto far sapere cosa è successo – commenta amareggiato Gabriele Ranfagni, protagonista indiretto di questa vicenda – perché è una cosa molto grave».

Gabriele Ranfagni

«Un mandato d’arresto sulla base di un’illazione fatta da un agente, che poi non è nemmeno d’origine italiana e la cui comprensione dell’italiano è scarsa o nulla, visto che non è riuscito a capire nemmeno il contesto in cui venivano dette certe cose, è un abuso di potere. Giovanni – aggiunge Gabriele che risiede regolarmente in Québec da quasi 5 anni e che lavora come animatore 3D presso un grande studio montrealese – veniva qui per una vacanza. Lui vuole fare animazione 3D ed io gli ho suggerito: prima di fare un’eventuale applicazione per un permesso di lavoro o di residenza, vieni a vedere com’è il Canada, poi tira le tue conclusioni. Ho anche aggiunto: ricordati che sei in vacanze e non puoi cercare lavoro.  Queste affermazioni sono contenute nelle nostre “chat” e controllare arbitrariamente le sue “chat”, come ha fatto il doganiere, è una violazione fragrante della privacy.

Ad un certo punto ho avuto paura anch’io perché ho pensato che forse questa storia poteva ritorcersi contro di me. Ma come – si chiede Gabriele – il Canada è un paese che si vanta di proteggere e tutelare i diritti delle persone e poi succedono queste cose? Voglio che questi diritti siano tutelati. Giovanni non è un criminale, non ha fatto proprio niente. Questo – lo ribadisco – è un abuso di potere. Un comportamento del genere è veramente inaccettabile».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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