La GRC esprime il suo rammarico per l’internamento degli italiani nel 1940-43
© Her Majesty the Queen in Right of Canada, 2018
Foto cortesia RCMP, Serge Gouin
In seguito all’adozione delle misure di guerra, 31.000 Italo-Canadesi furono designati come “stranieri nemici” dal governo canadese e circa 600 uomini furono arrestati e detenuti nei campi di internamento tra il 1940 e il 1943. La GRC/RCMP era il servizio di polizia incaricato di procedere agli arresti.
Il 18 settembre scorso, la commissaria (comandante) della GRC, Brenda Lucki, ha espresso ufficialmente il rammarico della GRC nel corso di una commovente cerimonia svoltasi presso il “RCMP Musical Rides Stables/Centre du Carrousel de la GRC” di Ottawa, alla quale hanno assistito circa 200 persone, tra numerosi parenti degli Italo-Canadesi internati.
Tale iniziativa è stata organizzata dal commissario aggiunto della GRC James Malizia, ufficiale responsabile delle operazioni di Polizia federale della GRC, insieme a Joyce Pillarella, storica della tradizione orale, specializzata nello studio della storia degli italiani di Montréal e, in particolare, del periodo dell’internamento.
«Avevamo già parlato di questa vicenda quattro anni fa. Poi – spiega Joyce – James mi ha telefonato nel giugno scorso dicendomi che la GRC era pronta ad organizzare una cerimonia per le famiglie degli internati ed io ho chiesto di farlo rapidamente anche a causa dell’età di molte delle persone coinvolte. Ma la cosa incredibile che ci accomuna, a parte l’origine italiana – prosegue Joyce – è che sia lui che io abbiamo avuto il nonno internato, come testimonia la foto che ho conservato in cui li vediamo l’uno accanto all’altro nel campo di prigionia di Fredericton.
Mio nonno si chiamava Nicola Germano, era originario di Ururi (Campobasso), ed aveva 53 anni quando, tornando dal lavoro, fu arrestato e internato. Rimase nei campi di prigionia per oltre tre anni, dal 1940 al 1943.
Il nonno di James si chiamava Nicola Doganieri e veniva da Larino (Campobasso). Nel corso della cerimonia James, che oggi è il responsabile numero uno della sicurezza del nostro Paese, ha raccontato la storia di suo nonno, una storia del tutto “personale”. Nella foto suo nonno aveva un’uniforme da prigioniero mentre James Malizia, oggi, 75 anni dopo, indossa l’uniforme rossa della GRC. Se fossimo ancora nel 1940 il nipote avrebbe dovuto arrestare il nonno! È incredibile pensare come il quadro della situazione sia cambiato nel corso di un paio di generazioni!
Dunque – prosegue la studiosa – è stata veramente una cerimonia organizzata dalle famiglie per le famiglie durante la quale c’è stato un bel gesto, quello di piantare, in un luogo aperto a tutti, in modo che tutti possano vederlo, un albero, un acero canadese. Si trattava di una richiesta proveniente proprio dalle famiglie stesse degli internati, a ricordo di quanto successo. Un gesto altamento simbolico perché durante la prigionia gli uomini lavoravano e uno dei lavori che facevano era proprio quello di tagliare gli alberi per fare la legna per riscaldarsi e cucinare».
Commozione e tante difficoltà
«Erano circa 120 le persone provenienti da Montréal che hanno assistito, in quanto parte attiva e interessata, alla cerimonia di espressione di rammarico della GRC».
Foto cortesia RCMP, Serge Gouin
Le altre – prosegue Joyce Pillarella – provenivano quasi tutte dall’Ontario. Ho chiesto a tutti di portare una foto del padre o del nonno e alla fine del mio discorso, quando ho pronunciato i nomi degli internati le cui famiglie erano presenti c’è stato un momento di grande commozione. La stessa Commissaria Brenda Lucky è rimasta colpita da questo momento che dimostra come la storia non sia una cosa astratta ma concreta, fatta di uomini, di volti, di umanità.
Ho parlato poi delle difficoltà incontrate dalle famiglie degli internati. Gli uomini erano i “breadwinner”, coloro che portavano il pane a casa. Mancando il sostegno economico le loro famiglie si trovarono in enormi difficoltà. La città di Montréal tolse perfino i sussidi ai più poveri. Inoltre, il governo federale confiscò tutti i beni di proprietà degli arrestati: macchine, case, conti in banca.
Nel 1940 una donna non poteva nemmeno firmare un contratto d’affitto e nessuno voleva più affittare case agli italiani. Immaginatevi le condizioni di una mamma che si ritrovava sola con i figli, senza un tetto e senza poter contare nemmeno sui risparmi. Le donne furono costrette ad andare a lavorare, così come i figli, tolti dalla scuole, per dare una mano a mandare avanti la baracca. Gli stessi italiani non coinvolti nella vicenda, per paura di essere sospettati e accusati di collaborare con i “nemici-stranieri”, non aiutavano più queste famiglie.
Ed è stato anche terribile per gli uomini. Molti di coloro che sono tornati dopo anni di prigionia non erano più gli stessi, duramente provati, non fisicamente ma moralmente, da questa vicenda. Si erano “rotti” dentro, erano diventati taciturni, si sentivano umiliati. Avevano perso tutto quello che avevano, anche la stima in sé stessi, e dovevano ricominciare da zero. Eppure erano uomini che vivevano rispettando le leggi, la società, il Canada, il Paese che li aveva accolti».
«Penso – aggiunge la studiosa Joyce Pillarella – che non è mai troppo tardi per questo tipo di cerimonie perché servono a cambiare la percezione delle cose, hanno un effetto sulla nostra società, un effetto che riflette i veri valori del Canada e il modo in cui un Paese tratta i suoi cittadini. Con tale iniziativa la GRC, che si è assunta le sue responsabilità, ha dimostrato il rispetto che si deve non solo verso queste famiglie ma verso tutti i canadesi».
Espressione di rammarico non scuse ufficiali
È importante precisare che la cerimonia della GRC del 18 settembre scorso è stata un modo per testimoniare agli internati italo-canadesi il rammarico della GRC per quanto successo in quel periodo e non la presentazione di “scuse ufficiali”. «La GRC non può fare delle scuse ufficiali perché non è stata lei – spiega Joyce Pillarella – a dare l’ordine di arrestare e di internare le persone. L’ordine è partito dal Governo canadese, la GRC ha solo eseguito questo ordine». Spetterà, eventualmente, al Governo porre un gesto di questo tipo.
La testimonianza di Giulietta Doganieri
«Mi vergognavo a parlare di lui. Perfino con i miei figli … non ho mai raccontato loro quello che era successo. Tutti pensavano che mio padre – si legge nell’inteervista che Giulietta Doganieri, madre di James Malizia e figlia di Nicola – ha rilasciato a Joyce Pillarella – fosse colpevole. L’avevano preso e la gente pensava che avesse fatto qualcosa di male. È come se io avessi voluto dimenticare quello che è successo. Ma è successo. Abbiamo aspettato talmente tanto tempo che qualcuno si occupasse di questa faccenda, voglio far sapere a tutti che erano persone oneste. Voglio che ci si ricordi di mio padre come di una persona innocente”.
(Tratta da: “Ricordando l’internamento. Gli italocanadesi durante la Seconda guerra mondiale. Montréal, 2012, di Joyce Pillarella)