Un luogo di confronto delle idee

14:15 13 Giugno 2018

Incontro con Mirko Zardini, direttore del Centre Canadien d’Architecture de Montréal

Mirko Zardini è direttore del CCA di Montréal dalla fine del 2005

Foto f_intravaia

Fondato nel 1979 dall’architetta Phyllis Lambert, il Centro Canadese d’Architettura (CCA) di Montréal è un’istituzione di ricerca internazionale che vuole sensibilizzare il pubblico sul ruolo dell’architettura nella società contemporanea e promuove le ricerche in questo settore.

Nato a Verona nel 1955 e formatosi come architetto a Milano dove risiede, Mirko Zardini è alla guida del CCA dalla fine del 2005. Il suo percorso con tale istituzione è iniziato qualche anno prima, nel 2003 quando propose un progetto che potesse inserire il CCA all’interno del grande dibattito sul ruolo e sulle funzioni dell’architettura nella società contemporanea, come luogo di produzione di idee che potessero incidere realmente sulla vita delle persone.

«Devo dire – afferma il direttore – che sono molto contento dei risultati che abbiamo raggiunto. Il Centro, oggi, è una delle voci più importanti nel dibattito internazionale sull’architettura. Abbiamo ricevuto in questi anni, proprio per le attività che il CCA porta avanti, numerose donazioni di archivi importanti di architetti riconosciuti a livello internazionale come, ad esempio, Alvaro Siza, Matta-Clark, Abalos & Herreros, Foreign Office Architects, Greg Lines e molti altri. Noi consideriamo questi archivi come un materiale prezioso per sviluppare nuove ricerche e per guardare la realtà contemporanea in maniera diversa».

Un pubblico mondiale

 

«Le nostre ricerche – prosegue Zardini – finiscono per produrre mostre, pubblicazioni e contributi per il nostro sito web che ci permettono di raggiungere un pubblico che non si trova fisicamente in prossimità del Centro ma in tutto il mondo. Il nostro pubblico è costituito soprattutto da studenti di architettura, architetti, storici, accademici,  ricercatori. A costoro offriamo non solo l’acessibilità ai materiali del Centro e cioè gli archivi, la produzione fotografica, la biblioteca, i disegni, la collezione di giocattoli, ma anche gli spunti e le riflessioni emerse nel dibattito costante con altre istituzioni e università che si trovano in tutto il mondo, insomma un CCA visto come luogo d’incontro e di discussione per confrontare idee diverse.

«Credo sia uno dei grandi risultati ottenuti in questi anni grazie anche al lavoro di un team di persone che vengono da paesi diversi, dagli Stati Uniti, dal Canada, dall’Olanda, dalla Spagna, dall’Italia, dalla Germania, dall’Asia. C’è proprio questo interesse da parte nostra nell’attirare e nel lavorare con persone che vengono da culture diverse per affrontare i problemi da punti di vista diversi».

 

Che città è Montréal?

«Una città che ha molte componenti diverse. Alcune sono sicuramente d’interesse internazionale come lo sviluppo di tutto ciò che è legato all’intelligenza artificiale, la sperimentazioni nei ristoranti, che è un altro aspetto incredibile nella cultura di Montréal, la musica e i festival».

 

Cosa c’è di “italiano” nel suo lavoro?

«Non ho un’attenzione particolare per le cose italiane in quanto italiano, però è vero che la cultura, non solo italiana, europea, è molto interessante e la combinazione della cultura europea con quella canadese e nordamericana in un’istituzione come il CCA può produrre risultati molto interessati.

Naturalmente ognuno è formato dall’ambiente in cui cresce e ognuno ha il suo modo di vedere il mondo ma credo che la cosa più importante sia essere capaci di portare il proprio modo di vedere la realtà intorno ad un tavolo e confrontarsi con le altre maniere di vedere la realtà. Il Canada è in una situazione in cui tutto questo può ancora avvenire in maniera interessante, in altri paesi è più difficile.

Al CCA ho cercato proprio di creare questo ambiente in cui ci si confronta intorno a dei temi partendo da prospettive differenti e credo che la cultura italiana abbia contribuito molto perché è una cultura che educa a leggere e riconoscere la complessità delle cose, dei conflitti, della diversità e allo stesso tempo offre anche degli strumenti per affrontarla meglio come una grande flessibilità nel gestire le situazioni e una grande capacità di adattamento che a volte risulta fondamentale».  

 

Utopie radicali a Firenze

Fino al 7 ottobre è possibile visitare al CCA la mostra  “Utopie Radicali: Firenze 1966-1976” che presenta per la prima volta in America del Nord, 50 anni dopo la nascita del movimento, le opere (circa 300 oggetti) di un gruppo di architetti e artisti che costituirono l’ambiente radicale fiorentino dell’epoca: Archizoom, Remo Buti, Gianni Pettena, Superstudio, UFO e Zzigurat e altri. Info: Centre Canadien d’Architecture, 1920 rue Baile, Montréal; tel. 514-939-7001, www.cca.qc.ca

 

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