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15:55pm23 Gennaio 2018 | mise à jour le: 23 Gennaio 2018 à 15:55pmReading time: 8 minutes

Il “Giorno della Memoria” a 80 anni dalle leggi razziali

Iniziative per ricordare le vittime della Shoah. A Montréal le conferenze di Fabio Levi all’IIC

L’ingresso al campo di Auschwitz

ANSA

Ansa – Ad Auschwitz, a gennaio, il clima è gelido, il cielo grigio e il campo di concentramento nazista è sferzato dal vento del nord e dalla neve. Ed è in una giornata come questa, il 27 gennaio 1945, che le truppe sovietiche della 60ª Armata del maresciallo Ivan Konev arrivano nella città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz), dopo la resa nazista, e scoprono il vicino campo di concentramento, dove sono rimasti pochissimi superstiti.

Il resto dei prigionieri sono stati portati via dai nazisti in una lunga marcia di ritirata nel corso della quale la maggior parte di loro morirà. La scoperta di Auschwitz,con i suoi strumenti di tortura, e le testimonianze dei sopravvissuti rivelano per la prima volta al mondo tutto l’orrore del genocidio nazifascista. È per questo che le Nazioni Unite hanno proclamato il 27 gennaio “Il Giorno delle Memoria”, la giornata del ricordo della Shoah, lo sterminio del popolo ebraico e non solo.

“Il Giorno della memoria” viene celebrato anche in Italia dal 2001, dopo l’approvazione del Parlamento nel 2000 del disegno di legge che riconoscere questa ricorrenza. In particolare la legge prevede che il 27 gennaio siano organizzate ”cerimonie, iniziative e incontri, in particolare nelle scuole, di ogni ordine e grado, per approfondire quanto accaduto ai deportati e conservare la memoria di quel tragico e oscuro periodo affinché simili eventi non possano mai più accadere”.

 

Il “Giorno della Memoria” all’IIC di Montréal

 

In occasione di questa importante ricorrenza l’Istituto Italiano di Cultura di Montréal (1200 avenue Dr. Penfield) ha invitato il professor Fabio Levi, docente di Storia contemporanea all’Università di Torino e direttore del “Centro internazionale di studi Primo Levi” dal 2008, a tenere tre conferenze basate sulla figura dello straordinario scrittore e intellettuale torinese Primo Levi, che nel libro “Se questo è un uomo” descrisse con grande lucidità la terribile esperienza vissuta nel campo di sterminio di Auschiwitz.
La prima conferenza, in italiano, dal titolo:

“L’Album Primo Levi: un incontro ricco di scoperte inedite con il testimone di Auschwitz, lo scrittore e l’uomo di scienza”<@$p>, si terrà il 30 gennaio alle ore 18, all’IIC.
La seconda “Gioventù italiana e memoria dell’Olocausto tra passato, presente e futuro”, si terrà il 31 gennaio, alle ore 14, all’U.d.M., Sala C-5117 – Padiglione Lionel Groulx, 3150 Jean Brillant, in francese.
La terza, “Primo Levi e la memoria d’Auschwitz”, si terrà il 1° febbraio, alle ore 13, presso UQAM, Locale A-5020 (Padiglione Aquin, Dipartimento di sociologia), in francese. Le tre conferenze sono gratuite. Per informazioni: tel. 514-849-3473.

 

Scrittore, intellettuale e chimico

 

Primo Levi è stato chimico e scrittore, autore di racconti, memorie, poesie e romanzi. Partigiano antifascista, il 13 dicembre 1943 fu arrestato dai nazifascisti in Val d’Aosta venendo prima mandato in un campo di raccolta di tutti gli ebrei a Fossoli e poi, nel febbraio dell’anno successivo, fu deportato nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreo.

Scampato al lager, tornò avventurosamente in Italia, dove si dedicò al compito di raccontare le atrocità viste e subite. Il suo romanzo più famoso “Se questo è un uomo”, che racconta le sue terribili esperienze nel campo di sterminio nazista, è considerato un classico della letteratura mondiale.

Laureato in chimica, in alcune delle sue opere (“Il sistema periodico”) appaiono riferimenti diretti e indiretti a questa branca della scienza.

Nel suo ultimo saggio (1986) “I sommersi e i salvati”, che rappresenta il punto di arrivo di tutte le riflessioni contenute nei suoi scritti precendenti, Levi torna ad affrontare il tema dell’Olocausto.

 

Fermarsi a riflettere per non dimenticare. Fabio Levi racconta Primo Levi

L’INTERVISTA, di f_intravaia

 

Fabio Levi, professore di Storia contemporanea all’Un. di Torino e direttore del Centro studi Primo Levi

Foto IIC

Per la prima volta a Montréal, il professor Fabio Levi, non nuovo alle conferenze nei vari Istituti Italiani di Cultura sparsi nel mondo, si è detto molto contento di poter mettere a disposizione di quanti verranno ad ascoltarlo le sue conoscenze su Primo Levi.

«Credo – ha detto nell’intervista rilasciata al nostro giornale – sia una bella occasione per rinforzare ancora di più i legami con la cultura del proprio paese d’origine».

 

Professore, cos’è il Centro internazionale di studi Primo Levi?

«Noi siamo molto interessati a come Primo Levi viene recepito all’estero. Credo sia l’autore italiano contemporaneo più tradotto nel mondo, l’unico che ha avuto un’edizione completa delle sue opere in inglese. È uscita un anno e mezzo fa negli Stati Uniti e penso che questa edizione americana rappresentari un sostegno importante alla sua conoscenza al di fuori dei confini italiani, anche perché è un autore che si va affermando sempre di più non solo come testimone della Shoah ma come grande scrittore. Ovviamente la testimonianza sulla Shoah rappresenta il centro della sua riflessione ma questo non significa che non debbano essere presi in considerazione molti altri aspetti della sua opera.

Le conferenze di Montréal mi interessano molto nella mia posizione di direttore di un Centro che ha come obiettivo di favorire la conoscenza dell’opera di Levi. Il Centro (www.primolevi.it) raccoglie e mette a disposizione di chiunque lo voglia, tutto ciò che riguarda lo scrittore torinese».

 

Ciò che ha scritto Primo Levi è ancora attuale?

«Credo che lo sia sempre di più nel senso che per molto tempo è stato considerato esclusivamente come testimone dello sterminio. In realtà, con il passare del tempo, ci si è resi conto che Levi non è stato solo tale ma una figura capace di sviluppare una riflessione sempre più ricca, rintracciabile non solo sui libri che si occupano esplicitamente della “Shoah” ma in tutta la sua opera.

Levi oltre che uno scrittore, fu anche un chimico, un uomo di scienza e di lavoro. Per esempio ha scritto “Il sistema periodico”, una particolarissima autobiografia legata alla sua dimensione di chimico, e “La chiave a stella”, che riflette sui temi del lavoro. La sua, in sostanza, è un’opera che riesce a far riflettere su una moltitudine di questioni che riguardano direttamente i lettori, ovvero gli uomini che si misurano con la realtà che li circonda. Proprio per la sua capacità di interpretare i vari aspetti della realtà contemporanea, Levi è diventato un punto di riferimento anche a livello internazionale».

 

I giovani, la “Memoria”,  l’Olocausto, qual è la sua percezione?

«Credo che sia molto difficile personalizzare e parlare dei giovani come se fossero un insieme omogeneo. La conoscenza del lager e della Shoah penso sia ormai una parte ineliminabile della nostra cultura. Se ne parla in innumerevoli occasioni, attraverso i mezzi d’informazioni più diversi, quindi non è un qualcosa di estraneo cui introdurre i più giovani, anche perché questi argomenti se li ritrovano sui libri di scuola, in televisione, su internet.

Il problema è “come” se li ritrovano! Il punto è aiutarli a fermarsi su questi temi, a rifletterci sopra, a non reagire, come spesso succede, attraverso atteggiamenti quasi di rimozione per eccesso di conoscenza o per eccesso di immagini cruente.

Nella società di oggi, dove tutti corrono disperatamente, credo che fermarsi a riflettere sia uno degli obiettivi più difficili da raggiungere. Anche l’enorme sviluppo dei mezzi di comunicazione, con il continuo scorrere di immagini e di messaggi di ogni genere, ha portato ad atteggiamenti di questo genere. Invece, sulle questioni importanti bisognerebbe avere la possibilità di fermarsi per un momento e di rendersi conto che quelle tematiche ci riguardano direttamente proprio perché sollevano questioni che hanno a che fare con il nostro essere uomini e donne. Un autore come Primo Levi è molto utile da questo punto di vista, e per diverse ragioni. La prima: perché essendo un grande scrittore riesce a raccontare quegli eventi in una forma che tocca direttamente il lettore e lo coinvolge.

La seconda: perché nella sua opera pone problemi morali di grande portata tanto più significativi perché emergono da situazioni limite come quelle che racconta, problemi morali che riguardano gli uomini di allora ma anche quelli di oggi. Terza ragione: la sua capacità di raccontare la verità in modo estremamente rigoroso. In tal modo le distanze di qualsiasi genere, di tempo e di spazio, quindi le distanze tra generazioni, vengono superate immediatamente».

 

Raccontare lo sterminio

«L’aspetto che emerge in modo particolare in “Se questo è un uomo” – afferma Fabio Levi – è il tentativo di offrire una “rappresentazione” quanto più distaccata possibile della realtà. Il suo rifiuto programmatico di giudicare; la sua volontà di mettere il lettore nelle condizioni di esprimere un giudizio. Quando si parla del “tono” del libro si usa il termine “pacatezza”. Levi cerca di offrire un racconto “pacato” della realtà di Auschwitz, ma per fare questo fa uno straordinario sforzo su se stesso.

Ci sono però dei momenti nel libro, come, ad esempio nella poesia inziale che più che una poesia sembra una maledizione, in cui non riesce ad essere così pacato perché la realtà di cui parla è una realtà “estrema”. Ma per l’autore solo con un atteggiamento più pacato si può riuscire a costruire una possibilità di comunicazione con l’interlocutore».

 

 

 

 

 

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