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16:26pm11 Ottobre 2011 | mise à jour le: 11 Ottobre 2011 à 16:26pmReading time: 4 minutes

Quell’azzurro tinto di celeste

L’ultimo della lista è quel Pablo Daniel Osvaldo, neo bomber giallorosso d’origine argentina ma con passaporto italiano (ha già indossato la maglia azzurra under 21), chiamato d’urgenza alla “corte” di Prandelli per il doppio impegno della nazionale italiana contro Serbia (venerdì 7, finito 1-1 con gol di Marchisio per l’Italia) e Irlanda del Nord (martedì 11 ottobre, per le qualificazioni ai Campionati Europei, qualificazione comunque, già acquisita dall’Italia), in sostituzione degli infortunati Balotelli e Pazzini. La “zona Cesarini”.

 

Ansa/ROMA – Il piacevole paradosso è che la sua convocazione è arrivata in “zona Cesarini”, come da caratteristica del capostipite degli oriundi: fatto sta che quella di Pablo Daniel Osvaldo è l’ennesima di un italo-argentino in Nazionale azzurra. Osvaldo, 25 anni, arriva da Prandelli in extremis, così come arrivavano negli ultimi minuti i gol di Renato Cesarini, che negli anni Trenta giocò 11 partite con la maglia azzurra, realizzando tre reti. L’oriundo con più presenze però è stato un campione del mondo (a Berlino 2006), quel Mauro German Camoranesi che ne ha messe insieme 55 ed ora è tornato nella natia Argentina.

   Storie di emigrazione e talento, che hanno innervato per tanti anni l’ossatura della Nazionale italiana. Raimundo ‘Mumo’ Orsi, ad esempio: segnò due reti in meno dell’altro argentino Julio Libonatti (13 contro 15), ma vinse anche lui un Mondiale, quello del 1934. Giocò 35 partite in azzurro, ed è tuttora nella galleria degli ”immortali” della Juventus.

  Altro campione del mondo argentino, ma con l’Italia (decisivo il suo gol nella semifinale con l’Austria), fu Enrique Guaita, “corsaro nero” della Roma, fuggito appena un anno dopo, nel 1935, per evitare la chiamata alle armi in vista della guerra d’Etiopia. E Omar Sivori, quanto ha inciso nello stile di un paio di generazioni di aspiranti calciatori? Calzettoni abbassati, pancetta, dribbling beffardo e sinistro micidiale, era uno degli angeli dalla faccia sporca (Angelillo e Maschio gli altri due) e grazie al ‘trasferimento’ in azzurro vinse anche un Pallone d’Oro. A proposito: nel calcio tutto torna, infatti il maestro del Cabezon (capoccione) Sivori era stato proprio Cesarini.

   Otto presenze in maglia azzurra, e cinque gol, vanta un altro attaccante della Roma, Francisco Ramon Lojacono; e 12 volte ha giocato nella Nazionale italiana Miguel Anguel Montuori. Una sola presenza invece invece per ‘El Petisso’ Bruno Pesaola, che poi ebbe una grande carriera come allenatore.   

   Anche Antonio Valentin Angelillo, detentore del record dei gol (33) nei campionati a 18 squadre, indossò la maglia azzurra, ma solo in due occasioni.

   Recentemente ha esordito in nazionale pure l’uomo d’ordine della Lazio, il centrocampista Cristian Daniel Ledesma: uno che sembra più europeo che sudamericano, e però è nato nella lontana Patagonia. Un altro piacevole paradosso che queste storie di emigrazione e talento hanno regalato all’azzurro.    

 

 

La “zona Cesarini”

 

   “Zona Cesarini” è un’espressione con cui si indica la fase finale di una partita di calcio e, più in generale, di un qualsiasi evento sportivo. Tale espressione è passata anche a indicare un evento del viver comune che si concretizzi in extremis (esempio: «Sono riuscito a ottenere la firma di quel contratto proprio in zona Cesarini»). Essa prende il nome da Renato Cesarini (nella foto), calciatore oriundo italiano nato a Senigallia (Ancona) l’11 aprile del 1906, attivo negli anni trenta come mezzala della Juventus che aveva avuto la ventura di realizzare diversi goal – sebbene non tutti decisivi ai fini del risultato finale – nei minuti finali di partita, contro avversari anche di rango come Napoli, Torino, Pro Vercelli, Lazio e Brescia. Uno in particolare, però, sarebbe quello che avrebbe permesso al suo nome di diventare un modo di dire, ed è quello segnato al 90′ contro l’Ungheria allo stadio “Filadelfia” di Torino, il 13 dicembre 1931.

   Il goal risolse una partita particolamente tesa ed agonisticamente accesa, in cui gli Azzurri erano andati due volte in vantaggio e altrettante volte erano stati raggiunti sul pareggio dai Magiari, fino alla vittoria per 3-2 proprio con il goal di Cesarini. La settimana successiva, durante un incontro di campionato, il giornalista sportivo Eugenio Danese, commentando un goal segnato all’89’, parlò di “caso Cesarini” riferendosi appunto ai minuti finali della partita. La parola “zona” fu presa probabilmente in prestito dal gioco del bridge, in cui essa sta appunto ad indicare la fase finale e determinante della partita. Sebbene al giorno d’oggi, per via dell’evoluzione del gioco in senso più aggressivo e agonistico, le marcature nei minuti finali di gara non siano più una novità, l’espressione “zona Cesarini” è rimasta viva, nonostante vi siano calciatori che nei minuti finali di gara abbiano realizzato più goal dell’oriundo argentino.

 

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