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19:20pm27 Settembre 2016 | mise à jour le: 27 Settembre 2016 à 19:20pmReading time: 6 minutes

Alla ricerca dell’autentica cucina italiana

Francesca Montagna, piacentina, e Margherita Romagnoli, fiorentina, sono a Montreal da 3-4 anni circa.Si sono conosciute per caso, come spesso succede. La vita le ha portate qui al seguito delle loro famiglie. Appassionate entrambe di cucina italiana, con una solida tradizione familiare alla spalle fatta di sapori autentici, di genuinità e “ripiena” dei tanti segreti ereditati dalle mamme e dalle nonne, si sono dette: perché non fare di questa passione un’attività concreta?

Ed è in questo modo che, anche con il desiderio di far riscoprire a Montreal una cucina italiana autentica, hanno proposto il loro “savoir-faire” alla Casa d’Italia e all’Accademia Culinaria del Centro Leonardo da Vinci che le hanno aperto le loro porte per i rispettivi corsi di cucina.

«La Casa d’Italia – spiegano – aveva già un programma di “Cucina della nonna” che però veniva fatto in maniera saltuaria. Ci siamo proposte, loro hanno accettato, ed è nato questo ciclo di 4 corsi che potremme definire “stagionale”: “Le conserve e il raccolto” all’inizio dell’autunno; “le tradizioni di Natale”; “le tradizioni di Pasqua” ed infine “le verdure estive”.  Al Leonardo da Vinci, invece, facciamo dei corsi di cucina regionale tutti i primi martedi del mese. Presentiamo una regione italiana, facciamo una piccola introduzione storico-culturale e poi, insieme ai partecipanti, prepariamo una cena completa tipica, un primo piatto, una carne o un pesce e un dolce, che poi mangiamo tutti insieme. Si cerca sempre di fare delle ricette semplici e di stare particolarmente attente ai costi. Vogliamo far vedere che la cucina italiana è genuina, sana ma anche economica; vogliamo fare delle ricette facilmente replicabili soprattutto da parte delle famiglie che sono occupate tutto il giorno, con ingredienti facili da reperire e che abbiamo costi contenuti. Un’altra cosa su cui insistiamo è la stagionalità dei prodotti e la loro reperibilità locale perché siamo profondamente convinte che sia ormai insostenibile, per il nsotro pianeta, far fare 10mila km ad una mozzarella!».

Sveliamo allora qualcuno dei vostri “segreti”. Come si fa una buona conserva?

«Nella nostra ultima lezione relativa al raccolto e alle conserve abbiamo dapprima fatto  un’introduzione sui prodotti stagionali, cosa si raccoglie in Italia per ogni stagione e in quali zone; poi abbiamo spiegato come si fa a conservare le verdure: sott’olio, sott’aceto o in salamoia, come si sterilizzano i barattoli che le contengono e come creare il sottovuoto, elementi importantissimi per evitare che le vostre conserve vadano a male ricordando che il prodotto, una volta aperto, va conservato in frigo e consumato entro 3-4 giorni».

Facciamo un esempio?

«Abbiamo preparato le zucchine in agro-dolce. Le verdure, qualsiasi verdura che si vuole usare per farne una conserva, devono essere di buona qualità, non ammaccate, fresche. Dapprima – spiegano – si lavano. Poi si asciugano e si tagliano a tocchetti non troppo piccoli. Per un chilo di zucchine ci vogliono due cipolle medie bianche o dorate, un paio di chiodi di garofano, uno spicchio d’aglio, un po’ di alloro, un pizzico di sale e di zucchero. Si mette tutto in una pentola, poi si aggiunge un bicchiere di aceto di vino bianco con acidità 6% e un bicchiere d’acqua. Si fa bollire per 4 minuti dopodiché spegniamo il fuoco e cominciamo a riempire i nostri vasetti, precedentemente sterilizzati, fino all’orlo (per sterilizzarli è necessario far bollire i barattoli di vetro per almeno 15 minuti). Lasciamo raffreddare, verifichiamo che il barattolo sia pieno di liquido fino all’orlo e poi mettiamo il tappo.

Dopodiché i nostri vasetti riempiti devono essere di nuovo sterilizzati ed infine si controlla il sottovuoto: si schiaccia il tappo e se non fa “click-clack” il sottovuoto è riuscito e il barattolo può essere conservato, altrimenti bisogna consumarlo rapidamente perché l’aria che rimane può contaminare il prodotto. Fare le conserve non è una cosa complicata ma richiede molta attenzione e soprattutto molta pazienza!».

Qualche altra conserva?

I peperoncini ripieni: piccoli, belli tondi, rossi, lucidi e solidi e piccanti, bisogna fare attenzione. Bisogna tagliare il picciolo poi con un cucchiaino e dei guanti si svuotano e si tolgono tutti i semi perché pizzicano troppo! Si lavano e si mettono a bollire per 5 minuti in acqua e aceto, anche per ammorbidirli. Poi si riempiono con una farcia fatta di tonno sottolio, capperi e uno o due filetti d’acciuga. Si trita tutto, si forma una specie di crema e con un cucchiaino si riempono i nostri peperoncini di questa crema e si mettono nel barattolo che poi si riempie d’olio d’oliva. Si servono con un aperitivo, con il bollito, per accompagnare le carni; sono davvero squisiti e conviviali!».

Chi dice autunno dice vendemmia e dice uva…

«E dice “schiacciata d’uva”, un dolce tipico toscano, di questo periodo. Si fa con l’uva nera –spiega Francesca con il suo tipico accento fiorentino – è un dolce “povero” che facevano i contadini durante la vendemmia.

Bastano pochi e semplici ingredienti: pasta di pane, uva, zucchero, olio d’oliva e rosmarino. La schiacciata in toscana è sinonimo di focaccia.

Per farla serve l’impasto base del pane: farina, acqua, un po’ di sale e lievito. Si fa cuocere un rametto di rosmarino in 4-5 cucchiai d’olio, in modo che il nostro olio si impregni del sapore del rosmarino, si lascia raffreddare, si toglie il rametto e si prepara l’impasto: 500 gr. di farina, 280 ml. di acqua tiepida, un cucchiaino o poco più di lievito, una puntina di zucchero e l’olio di cui prima. Si lascia lievitare la pasta per 2-3 ore poi si divide l’impasto in due: lo si stende, si prende l’uva nera, gli si levano i piccioli, si schiaccia un po’ con le mani in modo che inizi ad uscire il succo dell’uva, si mette tutta l’uva sopra all’impasto, si cosparge con un po’ di zucchero di  canna perché caramella meglio, con un altro po’ d’olio e con dei semi di finocchio.

Poi si ripete l’operazione: impasto, uva schiacciata, zucchero, olio, semi ed infine si mette in forno per 20-25 minuti a a 400° (Fahrenheit). Questo dolce si mangia con le mani che diventano tutte appicciccose perché l’uva rilascia il suo succo e viene fuori tutto il caramello. È un dolce umidissimo ma dolcissimo che deve essere mangiato freddo, possibilmente il giorno dopo, e si mangia sempre: a merenda, a colazione, a cena, ogni occasione è … buona!».

E non potrebbe essere altrimenti perché c’e dentro tutto il sapore della nobile, autentica, antica tradizione gastronomica italiana!

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