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15:29pm20 Maggio 2016 | mise à jour le: 20 Maggio 2016 à 15:29pmReading time: 5 minutes

Recuperata la lettera di Cristoforo Colombo: «Ho scoperto un nuovo mondo»

Ansa – Stanco e inquieto, il grande Cristoforo Colombo non si fidava dei suoi uomini. Per questo, appena sbarcato a Restelo, vicino a Lisbona, di ritorno dal suo periglioso viaggio alla ricerca delle Indie, si affrettò a spedire una lettera per informare i reali di Spagna della scoperta del Nuovo Mondo. Era il 4 marzo 1493, le gesta del grande avventuriero genovese sono diventate storia. Ma forse neanche lui poteva immaginare che una copia di quella sua lettera avrebbe compiuto, 500 anni dopo, un viaggio di andata e ritorno dalle Americhe, rocambolesco quasi quanto il suo.

Rubata dalla Biblioteca Riccardiana di Firenze, dove era stata sostituta da una copia, e recuperata dai carabinieri dei beni culturali negli Usa, dove grazie ad una donazione era finita addirittura sugli scaffali della biblioteca del Congresso a Washington, quella lettera di Colombo torna oggi a casa, prima a Roma poi a Firenze, restituita con tutti gli onori dagli americani.

“Una giornata simbolo”, sorridono insieme il ministro Franceschini e l’ambasciatore Usa in Italia John R. Phillips, “un fatto che segna l’amicizia e la totale collaborazione che

c’è tra i Paesi”.

Le indagini sono ancora in corso, anche perché nelle more dell’inchiesta è venuto fuori che un’altra copia della stessa lettera è stata rubata e sostituita alla Biblioteca Nazionale di Roma. Forse per questo gli investigatori sono avari di particolari. Ma la vicenda è fascinosa e intricata, almeno quanto la lunga missiva – quattro pagine in spagnolo poi tradotte in latino per le prime stampe fatte in quello stesso anno – che Colombo spedì a Ferdinando D’Aragona e Isabella di Castiglia.

Nessuna ipotesi ufficiale sulla data del trafugamento, e nemmeno sugli autori di un colpo messo a segno così bene da non essere scoperto per anni. “L’unica certezza è che la copia restituita dagli Usa è certamente quella autentica”, allarga le braccia il direttore della Riccardiana Fulvio Silvano Stacchetti.

A scoperchiare il vaso, racconta il comandante dei carabinieri Tpc Mariano Mossa, è stata una denuncia di furto partita dalla Biblioteca Nazionale di Roma. Niente a che fare con Colombo, ma è da lì che gli investigatori si accorgono che la copia della lettera del navigatore custodita dalla biblioteca romana potrebbe essere falsa. E’ così che parte il controllo sulla copia di Firenze e si arriva agli esami di laboratorio fatti dagli esperti del Racis. Altro che originali, le due lettere, racconta il generale, risultano false, “riproduzioni fotografiche moderne stampate su carta antica, ma incompatibile rispetto alla data del 1493”. Diverso il formato dei fogli, postuma e grossolana la rilegatura, addirittura una “stampa eseguita con fotocopiatrice” con aggiunte a matita e a penna.

La pista punta subito al mercato americano. I carabinieri collaborano con i colleghi dell’Hsi, il servizio di investigazione Usa. E si scopre che l’incunabolo di Firenze, esemplare che risale all’editio princeps, valutato 1 milione di euro, è stato venduto all’asta a New York nel 1992 e acquistato da un privato per 400 mila dollari. Dopodiché, probabilmente grazie ad un lascito testamentario, il documento è arrivato alla Biblioteca del Congresso americano, che, una volta appurata la provenienza illecita, l’ha restituito. Ora si cerca la copia romana. E resta la curiosità di capire di più su tempi e modi.

Di seguito la traduzione dal latino di alcuni brani del testo riportato nel documento restituito dalle autorità statunitensi.

“Nel trentatreesimo giorno successivo alla partenza da Cadice arrivai nel mare indiano, dove trovai molte isole con innumerevoli abitanti […] di cui presi possesso in nome del nostro felicissimo re. Alla prima diedi il nome di San Salvatore […] a un’altra isola Santa Maria Concezione, a un’altra Ferdinanda, a un’altra Isabella, a un’altra Giovanna. […] Dapprima navigammo verso quell’isola che chiamai Giovanna. Procedetti per un certo tempo verso occidente lungo il suo litorale. Essa era talmente grande che la ritenemmo non un’isola ma una provincia del continente del Catai. Non vedevamo fortificazioni o città situate sulla linea di costa fuorché alcuni villaggi e terreni rustici con i cui abitanti non riuscivamo a parlare poiché fuggivano non appena ci vedevano. Procedevamo oltre pensando di trovare una qualche città o paese, ma per lungo tempo non emergeva niente di nuovo. […] Molti fiumi grandi e salubri vi scorrono nel mezzo e vi sorgono monti altissimi.

Tutte queste isole sono molto amene e di vario aspetto, piene di una gran varietà d’alberi che si elevano a grandi altezze e ritengo non siano mai privi di foglie. Io le vidi così rigogliose e ridenti come lo è di solito la Spagna nel mese di maggio. […] Gli usignoli e altri vari e numerosi uccelli gorgheggiavano mentre io stesso camminavo attraversandole nel mese di novembre[…].  Gli abitanti di entrambi i sessi camminano sempre nudi, tranne alcune femmine che coprono le pudenda con foglie e fronde o con un velo di seta. Non possiedono alcuno strumento di ferro, come dissi sopra, non hanno armi poiché non le conoscono né vi sono portati, non a causa di deformità corporee poiché sono ben formati ma poiché sono timidi e pieni di paura. Tuttavia al posto delle armi portano delle canne nelle cui radici configgono del legno secco appuntito, ma non osano mai utilizzarle. […] Danno molto per niente […] Capitò una volta che per un cucchiaio ebbi tanto peso d’oro quanti sono tre soldi aurei. […]”

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