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18:54pm27 Marzo 2019 | mise à jour le: 27 Marzo 2019 à 18:54pmReading time: 5 minutes

A lezione di design per il futuro delle nostre città

A lezione di design per il futuro delle nostre città
Photo: Foto CCIC)Da sinistra: Danielle Virone, direttrice generale CCIC; Emmanuel Triassi, presidente CCIC; Luisa Bocchietto, presidente World Design Organization; S. E. Claudio Taffuri, Ambasciatore d'Italia in Canada; Silvia Costantini, Console Generale d’Italia Montréal

Nel quadro della terza edizione della “Giornata del Design italiano nel mondo”, la Camera di Commercio Italiana in Canada, di concerto con l’Ambasciata d’Italia ad Ottawa e il Consolato Generale d’Italia a Montréal, ha organizzato, presso l’Hotel Sofitel di Montréal, la colazione-conferenza dell’architetto e designer Luisa Bocchietto, sul tema: “Il design e l’architettura per la città del futuro”.

La “Giornata del design” è un’iniziativa voluta dal Ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale che si tiene contemporaneamente in 100 città del mondo. La conferenza della signora Bocchietto, presidente dal 2017 dell’Organizzazione Mondiale del Design (WDO), organismo la cui sede è proprio qui a Montréal, è stata introdotta dalla direttrice generale della CCIC, Danielle Virone, e presentata dall’architetto Giovanni De Paoli, ex rettore della Facoltà “dell’Aménagement” dell’Université de Montréal.
Dopo il saluto dell’Ambasciatore Claudio Taffuri e della Console Silvia Costantini, Luisa Bocchietto ha delineato alcune caratteristiche del design italiano, quelle stesse che lo rendono famoso e apprezzato in tutto il mondo, in una sola parola: “unico”.

«Il nostro design – ha spiegato – è nato dagli architetti; è nato non come una questione specificamente tecnica ma come un qualcosa di culturale. Per me e per noi italiani, ad esempio, fare una sedia non è semplicemente farla, è fare la sedia più bella del mondo, è una sfida, una sorta di competizione, se non è la più bella non è interessante, quando la faccio voglio realizzare qualcosa di strordinario. Due grandi peculiarità del design italiano – ha aggiunto – sono il colore e l’ironia. Il nostro design, influenzato anche da correnti artistiche come, ad esempio, il futurismo, contiene in sé qualcosa di “sovversivo”, decisamente diverso dal design scandinavo o tedesco molto più “quadrato”, si mette continuamente in discussione e lascia emergere gli elementi ironici.

Un esempio per tutti è la macchina per scrivere “Valentine” della Olivetti: è rossa, ha un nome di donna, è “sexy”; non è solo una macchina per scrivere ma diventa qualcosa di emotivo che si distingue subito ed entra a far parte dei vostri gusti.
Altra cosa molto interessante – ha proseguito – è che l’Italia non è un paese ricco di materiali quindi siamo diventati dei “trasformatori”, facciamo molto con poche cose».

Cambiare e migliorarsi

L’architetto e designer ha poi parlato del WDO, dei suoi obiettivi e delle sue azioni per promuovere, a livello internazionale, il design e la sua capacità di generare prodotti, sistemi e servizi che possano rendere le nostre città più a misura d’uomo e meno “devastanti” dal punto di vista dell’impatto ambientale. «Si tratta – ha detto – di avere una visione del futuro, di pensare a cose che non esistono ancora, in collaborazione con gli architetti e con tutti gli “attori” che interagiscono in uno spazio urbano. Oggi il design è diventato qualcosa di più immateriale, i designer lavorano sempre di più a contatto con le compagnie per fare non solo oggetti ma soprattutto progetti, per creare, ad esempio, reti per le comunicazioni e inventare sistemi, connessioni, integrazioni che una volta realizzati permetteranno alle persone di vivere meglio. Al centro della nostra azione c’è il pianeta e il suo futuro e il design può contribuirlo a renderlo migliore».
Al termine della conferenza c’è stata una discussione su questi temi alla quale hanno paertecipato Nathalie Dion, presidente dell’Ordine degli architetti del Québec e Jean-François Simard, dirigente dell’Associazione dei designer industriali del Québec e pdg di Cyclone lighting.

Il design come linguaggio universale

A margine della conferenza del 20 marzo scorso abbiamo chiesto a Luisa Bocchietto cosa significhi per lei essere alla guida dell’Organizzazione Mondiale del design.
«È un motivo d’orgoglio sia come progettista che come italiana e donna perché, in passato, questo ruolo è stato ricoperto una sola volta da un italiano e una sola volta da una donna. Orgoglio, dunque, di essere presente in tale importante organizzazione con un pensiero italiano ed europeo. Nel recente passato – ha spiegato – si sono alternate presidenze asiatiche e anglosassoni, ritenevo, dunque, necessario un ritorno “all’origine” perché, senza volersi dare delle arie, forse abbiamo una visione un po’ più consapevole del mondo del design perché per noi europei questo mestiere non è solo fare business, non è solo fare cose, non è riempire il mondo di oggetti ma è fare cose utili ed eventualmente non farne se non servono.
È una visione che viene dal passato, dalla nostra cultura storica che, in un momento delicato come questo, può offrire degli indirizzi che sono un po’ più a favore del pianeta e non solo del business.
Nel consiglio del WDO siamo 11 persone e nessuna ha come madre lingua l’inglese. La cosa interessante è che, pur provenendo da culture diverse quando parliamo di design siamo tutti sulla stessa linea. Cosa significa? Che il design è veramente un linguaggio universale come la musica, è qualcosa di immediato, ti piace o non ti piace, non hai bisogno di spiegazioni e quindi, in momenti come questi, può essere utile per favorire la collaborazione tra mentalità diverse, per far lavorare insieme persone che hanno imput religiosi o politici differenti».

La sua definizione di design
«La capacità di immaginare ciò che non esiste e realizzarlo!»

Montréal e il design?
«Montréal è una città a vocazione internazionale che accoglie organismi internazionali che ha, quindi, la volontà di aprirsi, di ospitare, di colloquiare con entità diverse. Penso che stia scommettendo su questo, probabilmente per costruirsi delle opportunità future».

La sua città ideale?
«È quella dove hai a disposizione tutti i servizi dell’epoca contemporanea che ti permettono di vivere su scala umana. Non, dunque, una città disumanizzata, tutta automobili e grattacieli. Negli ultimi tempi abbiamo asssistito a degli imponenti fenomeni di urbanizzazione, di grandi masse che si sono spostate nelle città. Credo che sia importante la riscoperta dei piccoli centri. Noi italiani abbiamo la consapevolezza che si può vivere bene anche in luoghi un po’ meno urbanizzati, anche se ultimamente i nostri centri storici si sono un po’ spopolati. Bisogna concepire dei progetti che riportino la vita in tali luoghi ed oggi la tecnologia ci può aiutare».

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