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17:23pm6 Giugno 2019 | mise à jour le: 6 Giugno 2019 à 17:23pmReading time: 4 minutes

Siamo tutti … italofili!

Siamo tutti … italofili!
Photo: foto cortesiaRiunione di famiglia

Una riflessione sulla comunità italiana e italo-canadese a Montréal di Tania Zampini, direttrice del Centro per la cultura italiana 3E

Di recente, ho partecipato a due eventi di grande rilievo per la comunità “itala” a Montréal. Al primo, i giovani italiani presenti erano quanti le dita di una mano e naufragavano in una marea agitata di italo-canadesi. Al secondo, gli italo-canadesi erano altrettanto pochi, intenzionati, comunque, a tenere testa ai tanti giovani italiani presenti.

Di per sé, non mi è nota una tale frammentazione nella comunità italiana a Montréal. Esiste da decenni. D’altra parte, si sa che dalla Seconda guerra mondiale in poi, la cultura italiana e quella italo-canadese — per la quale intendo la cultura prodotta dalle famiglie degli immigrati italiani in Canada dal primo Novecento — non sono più la stessa cosa, benché la seconda sia figlia della prima; a ciascuno il suo!

È vero che le valutazioni dell’Italia da parte di queste due comunità ormai distinte sono diverse. Gli italo-canadesi lamentano la perdita delle vecchie tradizioni, la poca importanza apparentemente accordata ai valori familiari, la mancanza – o così sembra loro – di voglia professionale in Italia.

“Gli italiani di oggi non pensano più alle generazioni precedenti, alla lotta per la vita che hanno dovuto affrontare e superare quelli che hanno scommesso su un futuro migliore altrove. Non rivolgono mai lo sguardo indietro”. È forse anche vero che il contatto che la comunità italo-canadese ha con l’Italia è diventato sempre più ridotto, sempre più superficiale, che i legami che gli italo-canadesi hanno con la loro terra madre sono stati finora dettati da usanze antiquate.

“Gli italo-canadesi sono rimasti bloccati ai tempi della Nonna” – quella che personifica le tradizioni superate, il divieto del progresso. A loro interessano solo le ricette che Zia Rita o Nonno Aldo hanno continuato a perfezionare anche dopo il loro arrivo nel “nuovo mondo”. O le Ferrari, o il calcio.

Per gli italiani, invece, le realtà citate sono le conseguenze di un’economia nazionale in fallimento, di una crepa sempre più vasta nell’identità politica del loro paese all’interno dell’Unione europea. Festeggiano i numerosi artisti che hanno trascinato l’Italia fuori dai “secoli bui”, per posizionarla alla luce del progresso scientifico e rimpiangono i “dinosauri” che cercano tuttora di trattenerla. Atteggiamento molto progressista. O forse, guardando il tutto dall’altro lato dello specchio, è il risultato di un elitarismo che non ammette presenze italianeggianti variegate, che difficilmente si relaziona con queste “voci del popolo” che continuano a dare spazio e importanza alla loro identità da “immigrati” a discapito dell’evoluzione dei valori italiani.

 Sembrano modi di pensare del tutto incompatibili. Eppure, queste due comunità, sono accomunate da una cosa imprescindibile: l’amore. Amano l’Italia dal più profondo del loro cuore. Ne parlano con dolcezza e nostalgia, che la si abbia lasciata da sei mesi o da sessant’anni. Alla prima opportunità, vi si torna. Rimane il luogo delle nostre più care vacanze, delle nostre esperienze più intime e appaganti. Entrambe hanno l’Italia a cuore. Siamo tutti, nelle parole di una mia vecchia professoressa, “italofili”. È questo amore che consente a tante organizzazioni di celebrare la cultura italiana e quella derivante dall’Italia, oltre 300 tra gruppi, fondazioni, pubblicazioni e associazioni italiane o italo-canadesi che rappresentano circa 300.000 persone a Montréal. E questo amore, enorme, sovrastante, indelebile, dovrebbe bastare a farci sopportare a vicenda, a conoscerci meglio, a spingerci a cercare delle simbiosi fra le nostre comunità che finora sono faticosamente emerse. Abbiamo la responsabilità di farcele bastare.

 

Percezioni differenti

Lo vivo nel mio piccolo. Da sei anni, la mia famiglia è composta sia da italo-canadesi che da italiani. Certo è che questi due gruppi non vedono l’Italia dallo stesso punto di vista. Non è facile conciliare le realtà che vivono i miei familiari italiani con il racconto di una versione dell’Italia caratterizzata soprattutto dalla difesa di una cultura estinta, quella che ha aiutato gli immigrati a guadagnarsi la vita e l’accesso ai diritti umani più basilari oltreoceano. E non è facile per loro spiegare, invece, ai miei parenti italo-canadesi come siano cambiate le cose in Italia dal 1955 ad oggi, o di far capire, senza offese, i limiti nella loro percezione del paese nel suo stato attuale.

Ma come tutte famiglie degne del medesimo titolo, non solo conviviamo con queste nostre differenze ma ne parliamo, cerchiamo di capirle, di mediarle, di arrivare a compromessi. Più importante di tutto ciò, ci aiutiamo a vicenda anche quando non andiamo d’accordo. Anche quando il denominatore comune non c’è. Ci sopportiamo e ci sosteniamo. È questa la mia più grande speranza per la comunità “itala” a Montréal. Che diventi una sola, forte, unita, caritatevole, composta dai suoi mille pezzettini ognuno dei quali più potente nell’insieme che da solo.

 

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