Attività
15:38pm18 Dicembre 2012 | mise à jour le: 18 Dicembre 2012 à 15:38pmReading time: 9 minutes

Una storia da non dimenticare

 

È il 10 giugno del 1940 e dal balcone di Palazzo Venezia, a Roma, Benito Mussolini dichiara guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. Di conseguenza, il primo ministro canadese MacKenzie King, dichiara guerra all’Italia. La Gendarmeria Reale Canadese (RCMP) inizia a sospettare gli italocanadesi che a suo giudizio, potrebbero essere dei potenziali sabotatori. La polizia ferma e perquisisce individui dall’ “aspetto italiano”, fa irruzione nella Casa d’Italia, fondata solo 4 anni prima, la sequestra, si impossessa dei documenti, della lista dei suoi soci, comincia a perquisire le case e comincia ad arrestare gli italo-canadesi o i canadesi d’origine italiana. Essi vengono, dunque, ufficialmente designati dal governo canadese come “stranieri nemici”. Ne furono arrestati a migliaia, in tutto il Canada, uomini e giovani, arrestati e portati verso siti di detenzione prima di essere trasferiti nei campi di concentramento come quello di Petawawa, in Ontario. Nessuna accusa fu portata contro questi prigionieri, non erano colpevoli di alcun delitto, solo del fatto di essere d’origine italiana, di origine di un Paese che in quel momento era governato da un dittatore fascista.

Furono imprigionati per anni. A Montreal furono arrestati circa 600 italo-canadesi e una volta liberati dai campi di concentramento rimasero silenziosi su questa storia. Ma tale esperienza ebbe un’enorme ripercussione sulle loro vite. Centinaia di famiglie furono lacerate, separate, private dei loro uomini, del loro sostegno, delle braccia per poter lavorare e sfamare i propri cari. Un dramma nel dramma, vissuto in silenzio, con il terrore di poter essere portati via, con la paura di essere considerati “stranieri” in casa propria, “stranieri” là dove erano arrivati con tante speranze, avevano cominciato a mettere radici, a costruire il futuro e a considerare il Canada la loro seconda casa.

Una pagina triste della nostra storia, una pagina che la CIBPA ha voluto portare pienamente alla luce del sole, far conoscere a tutti, alle nuove generazioni, agli eredi di coloro che hanno vissuto quei giorni difficili; non solo, come si diceva, per farla conoscere ma soprattutto per onorare la memoria di quanti hanno vissuto quei tragici eventi, un modo per “fare pace” con quel momento storico, per voltare pagina senza però dimenticare, anzi, con il dovere di ricordare affinché le future generazioni non commettano gli stessi errori.

 

La cerimonia

 

La CIBPA, l’Associazione delle persone d’affari e professionisti italo-canadesi, fondata nel 1949 proprio alla Casa d’Italia, luogo dove praticamente iniziò la “persecuzione” nei confronti degli italo-canadesi, assurto a “simbolo” della nostra emigrazione, ha organizzato, il 12 dicembre scorso, alla presenza di numerose autorità, invitati e ospiti, una serata per commemorare, per onorare   gli internati italo-canadesi durante la Seconda guerra mondiale, «per rendere omaggio – come ha detto il suo presidente Roberto Rinaldi – a quattro generazioni di italo-canadesi, a coloro che 70 anni fa furono internati nei campi di concentramento e che oggi sono qui rappresentati dai figli, dai nipoti e pronipoti. La guerra lacerò molte famiglie e provocò gravi danni non solo d’immagine alla nostra comunità. La CIBPA nacque dopo la guerra, per opera di alcuni uomini d’affari come Antonio Capobianco e altri, proprio per difendere la reputazione della nostra comunità ed oggi siamo orgogliosi di essere i loro eredi e di essere  qui. Speriamo che attraverso questo progetto di commemorazione degli internati, le generazioni future si ricorderanno e saranno riconoscenti di quello che i nostri antenati hanno fatto e hanno dovuto sopportare.

È importante sottolineare – ha aggiunto Rinaldi – che la forza motrice di questo progetto è stato l’ex presidente CIBPA Giovanni Chieffallo che, insieme alla sua equipe, ha lavorato per anni senza risparmiarsi alla realizzazione del progetto. Un grazie va al governo canadese che, attraverso il “Programma di riconoscimento storico delle comunità” ha stanziato la somma di poco più di 168.000$ che ci ha permesso di realizzare un monumento commemorativo opera dello scultore Egidio Vincelli, che stasera inauguriamo, e un libro intitolato“Ricordando l’internamento”, scritto dalla storica Joyce Pillarella, che ripercorre attraverso testimonianze, fotografie e ricordi, le tappe di questa oscura vicenda. E un ringraziamento – ha concluso – anche alla Casa d’Italia per aver trovato un “domicilio” a questa statua».

E grazie alle parole di Joyce Pillarella sono risuonati, nella grande sala-teatro, i ricordi, i racconti, le immagini, i sentimenti, l’emozione, i nomi di alcuni internati, i nomi di Alberto Crocini, Guido Cassini, Achille e Nicola Corbo, Emanuele Cosentino, Angelo Dalle Vedova, Daborminda Dello Sbarba, Luigi Di Battista, Costanzo D’Amico, Antonio e Gentile Dieni, Michele Di Iorio, Giuseppe e Antonio Di Pietro, Nicola Doganieri, Gennaro Esposito, Gabriele e Joseph Frascatore, Nicola Germano, Luigi Gialleonardo, Tanio Andrew e Frank Jannuzzi, Carmine Iasenza, Adolfo Miele, Giovanni Mastromonaco, Donato Monaco, Arcangelo Nieri, Guido Nincheri, Vito Palmeri, Enrico Pasquale, Vincenzo Poggi, Luciano Salvadori, Pasquale Sauro, Enrico Sbragi, Alfredo Sebastiani, Cosimo Venditti, Giuseppe Visocchi, Salvatore Vistarchi, le note del “Silenzio” (celebre brano musicale scritto per la tromba da Nini Rosso), in segno di rispetto per tutti coloro che ci hanno lasciato, le lacrime e la commozione dei discendenti di queste persone presenti alla serata. 

Nel corso della serata ha preso la parola il Console generale d’Italia a Montreal Enrico Padula che ha ricordato quel periodo buio della nostra storia che corrisponde al Ventennio fascista culminato con il disastro della Seconda guerra mondiale, che ha ricordato come «le sofferenze che in quegli stessi anni sono state arrecate agli italiani che vivevano qui, ai canadesi d’origine italiana, siano un’altra pagina triste della nostra storia. Il loro internamento– ha detto – ha rapresentato un momento di lacerazione, una profonda ferita per chi è venuto in Canada, ha affrontato sofferenza e difficoltà, per chi, all’inizio, ha affrontato sospetti e discriminazioni, ha lavorato in modo duro e onesto e ha contribuito allo sviluppo di questo Paese. Tra l’altro molti degli italiani che negli anni ’40 sono stati internati avevano diviso con i canadesi le difficoltà del periodo della grande depressione e avevano tenuto duro insieme a loro. Questa è la grande ferita che noi dobbiamo rimarginare oggi. E vorrei ricordare come – e lo ha ricordato attraverso la lettura di una testimonianza sul clima che si respirava a Montreal poco prima che iniziassero questi eventi – il governo italiano ha sempre avuto, come linea, quella di supportare ed essere vicini agli italiani che hanno dovuto lasciare la loro terra rispettando la loro nuova realtà e il loro nuovo Paese».

Julian Fantino, ministro della Cooperazione internazionale, che ha assistito alla cerimonia a nome del ministro della Cittadinanza, Immigrazione e Multiculturalismo, Jason Kenney, ha detto: « Ricordare il passato, ricordare da dove veniamo significa fare un passo importante verso il futuro e sono molto orgoglioso di essere qui per questa celebrazione alla quale partecipo con grande umiltà. Questo monumento, questa magnifica opera d’arte, è stata eretta per tenere ben vivo il ricordo degli italiani internati. Oggi dobbiamo ricordarci delle persone che hanno dovuto sormontare prove molto penose e celebrare il loro importante contributo alla costruzione di questo Paese.

Dal canto suo Angela Minicucci, presidente della Casa d’Italia, ha ricordato la nascita di questo edificio nel 1936 e cosa esso ha rappresentato; come fosse il luogo di ritrovo per la comunità italiana dell’epoca e come, improvvisamente, a causa degli eventi bellici, fosse visto come un “covo” di nemici, tolto dalle mani degli italiani per diventare, negli anni della guerra, il quartier generale delle Forze Armate canadesi. Ha parlato della sua rinascita, della nascita della CIBPA, del suo ruolo. «Dopo più di 70 anni – ha detto – celebriamo la memoria dei nostri internati, dei nostri pionieri, celebriamo la vostra memoria che rimarrà per sempre alla Casa d’Italia. Alle famiglie degli internati e in memoria degli internati voglio dire: il vostro silenzio è stato accompagnato da sofferenze, lacrime e dolori; con tutto ciò che avete vissuto non avete trasmesso le vostre ferite alle generazioni che vi seguono, avete, invece, lasciato ai vostri figli canadesi l’esempio del coraggio, della fede e soprattutto l’esempio della speranza. Lasciate i più bei valori dell’essere umano. La CIBPA è nata proprio da tali valori e con questi stessi valori, stasera essa rende un omaggio commemorando i vostri padri, nonni, zii, bisnonni. La Casa d’Italia – ha proseguito – è un luogo di memoria collettiva per gli italiani di Montreal. Lavoriamo forte affinché questa istituzione rappresenti la collettività italiana con dignità e rispetto. Siamo fieri della nostra squadra di storici, archivisti, museologi, scrittori che si dedicano alla missione di promuovere la storia dell’emigrazione e la cultura italiana. Non possiamo cambiare il passato – ha concluso la Minicucci – ma abbiamo il potere di agire nel presente e di avere un impatto sul nostro futuro».

Una statua-monumento, dunque, come memoria di questa pagina della storia. Ecco, come il suo autore, Egidio Vincelli, la descrive: «La sua base rappresenta la terra, da dove venimmo e dove scegliemmo di costruire nuove fondamenta. La forma rotonda rappresenta il tavolo di casa, attorno al quale si radunava la famiglia. La famiglia era l’infrastruttura che aiutò gli immigrati. Il triangolo sulla base porta cerchi e triangoli rossi, i segni che gli internati portavano sulle loro divise. È slavato, consunto dal tempo …come lo sono le memorie. Ma resta sempre lì. L’albero che cresce dalla terra avrebbe potuto essere coperto di foglie ma non lo è. I pionieri non ebbero l’opportunità di sbocciare come avrebbero potuto. Il filo spinato è l’immagine stereotipata del campo di internamento, ma esprime molto di più. È la separazione imposta alle famiglie e alla colonia dall’internamento. La libertà fu persa sia dentro che fuori dai campi. Un uccello spicca il volo al di sopra delle polemiche. Rappresenta la libertà, la speranza e la capacità di superare le sventure e trovar nuovamente la via del successo. Questo è il futuro per le prossime generazioni».

«È stata un’emozione fortissima e mi sono commosso»,  sono state le prime dichiarazioni dello scultore dopo lo svelamento della statua e la sua presentazione al pubblico. «È raro – ha continuato – trovarsi in una situazione così. È come se risentissi tutta la sofferenza di quelle persone e la voglia di far pace con il passato. Spero di aver reso, attraverso la statua, questi sentimenti, quello che la gente si aspettava. Ho fatto questa opera con tutta la passione possibile».

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