La Casa d’Italia ha festeggiato, il 28 maggio scorso, insieme ad oltre 260 invitati, il suo 80mo compleanno, davvero un bel traguardo per questa istituzione, la più antica “italiana” in terra canadese.
Il Gala è tornato alle sue origini in quanto si è tenuto, come nel passato, nelle sale della Casa stessa. Pur se ufficialmente aperta il 1° novembre del 1936, il consiglio d’amministrazione ha ritenuto opportuno anticipare la data del Gala per poter permettere di tenere, nel corso dell’anno, un maggior numero di eventi celebrativi legati a tale apputamento. Gli 80 anni rappresentano, senza dubbio, un traguardo eccezionale. Costituiscono, allo stesso tempo, un momento chiave per ricordare il ruolo che la Casa ha avuto nel corso di questi anni e che avrà nel futuro.
A fare da maestra di cerimonie del Gala è stata la giornalista Marianna Simeone che dopo aver salutato gli ospiti e l’orchestra di Ron Di Lauro che ha allietato i presenti, ha messo l’accento su una delle ultime realizzazioni della Casa, il libro di Joyce Pillarella che ripercorre la sua storia, libro che gli ospiti hanno potuto trovare al loro tavolo.
Il microfono è andato poi ad Anie Samson, sindaco di Villeray-St-Michel-Parc-Extension (quartiere in cui sorge la Casa): «Questa sera – ha detto – desidero rendere un omaggio particolare a tutti gli immigrati italiani che hanno avuto la forza e il coraggio di costruire la Casa d’Italia. Li ringrazio per i loro sacrifici e per questo gioiello che ci hanno lasciato come omaggio alla comunità italiana».
Spazio poi ad una “sorpresa speciale” rappresentata dalla presenza di Giulietta Doganieri e John Malizia, una coppia che vide il loro amore sbocciare proprio alla Casa 60 anni fa quando il sabato sera questo posto si trasformava in luogo d’incontro e in pista da ballo. Giulietta e John si sposarono l’anno successivo. Per loro, dunque, 59 anni di matrimonio e l’onore di aprire il ballo del Gala là dove si incontrarono per la prima volta.
Parola poi ad <@Rb>Angela Minicucci<@$p>, presidente della Casa d’Italia che ha ricostruito il contesto storico in cui è nata la Casa ribadendone il ruolo di “custode” della memoria dell’emigrazione italiana a Montreal.
«Durante la crisi economica degli anni ’30 – ha detto – la “colonia italiana”, che contava 9000 immigrati e 22.000 canadesi d’origine italiana, iniziò nel 1934 una raccolta di fondi riuscendo a raccogliere la somma di 37.000 $ in un anno. I donatori erano degli esperti uomini d’affari italo-canadesi, stabilitisi a Montreal da decenni, ben conosciuti nel mondo del business montrealese. Uno di questi era il commendatore Alfredo Sebastiani, originario di Pescara, presidente di “La Gioconda Shoe Manufacturing company”. Fu il primo presidente della Casa. Del suo consiglio d’amministrazione facevano parte personaggi come Severo Biffi, Enrico Pasquale, Onorato Catelli, tutti uomini d’affari benestanti, pienamente integrati nella società quebecchese.
Un altro personaggio-chiave fu il sindaco di Montreal Camillien Houde. Ammirava gli italiani e incoraggiava la costruzione di un centro etnico. Fu grazie a lui che risucirono ad ottenere il terreno sul quale poi sarebbe sorta la Casa.
Anche il Console Generale d’Italia a Montreal svolse un ruolo molto importante. Gli italiani a Montreal erano considerati una “colonia”. In Italia era il periodo di Mussolini e del fascismo ed era importante che la Casa fosse accessibili a tutti, comprese le organizzazioni che promuovevano l’orgoglio e il patriottismo italiano.
Solo 4 anni dopo la sua apertura – ha proseguito la Minicucci – esattamente il 10 giugno del 1940, la Casa fu sequestrata dalla RCMP, la Gendarmeria Reale del Canada. Il Canada era in guerra con l’Italia e gli italiani furono considerati “stranieri”, nemici. La RCMP confiscò la lista dei membri della Casa e cominciò a “rastrellarli”. Non fu raro vedere donne e bambini piangere mentre i loro mariti e padri venivano portati via dalla polizia come fu il caso, ad esempio, per Federico Pantalone, tenente dei pompieri, in servizio da oltre 30 anni, portato via dalla polizia proprio nella stazione dei pompieri, davanti ai suoi colleghi. La sua famiglia non seppe più niente di lui fino a quando, anni dopo, fu liberato. La polizia sequestrò le proprietà di famiglia, i soldi e perfino l’auto. Pantalone non fu mai accusato di un reato particolare; fu liberato, non ritrovò più il suo posto di pompiere e non ricevette nemmeno una pensione. Le sue proprietà e i suoi beni vennero messi all’asta dalle autorità, riprese a lavorare come taxista e in un panificio.
Le Forze Armate canadesi occuparono la Casa dal 1940 al 1947; gli italo-canadesi furono accusati di essere fascisti, furono arrestati ma mai accusati formalmente di un reato specifico. Il Governo canadese non ha mai offerto le sue scuse. Fu solo nel 1947, grazie ancora una volta all’intervento del sindaco Houde, lui stesso internato a Petawawa con centinaia di italiani, il quale presentò un progetto di legge all’Assemblea Nazionale, che la Casa fu restituita agli italiani di Montreal che da quel momento non furono più chiamati “coloni” ma considerati come una comunità.
La vita dopo la Seconda guerra mondiale fu un nuovo inizio per gli italiani. La discriminazione e il razzismo contro di loro erano ancora presenti, non riuscivano a trovare una casa o un lavoro, nessuno glielo voleva dare. La vita riprese lentamente. Da quel momento in poi la Casa non fu un luogo solo per l’elite ma diventò il punto di riferimento per l’immigrazione e per coloro che dovevano ricostruire le loro vite dopo l’internamento. Furono creati vari organismi per aiutare queste persone a trovare lavoro e a reintegrarsi. Il primo a nascere fu la CIBPA, nel 1949; nel decennio seguente, dentro queste mura, ne nacquero una trentina.
Tutto ciò ha segnato la storia della Casa e dei canadesi d’origine italiana. È grazie ai loro sacrifici e al loro lavoro che oggi possiamo dirci orgogliosi di essere d’origine italiana. Tutto ciò comporta però la responsabilità di onorare i nostri predecessori. Il prezzo è stato pagato e la nostra storia non deve rimanere sconosciuta. È importante farla conoscere, far conoscere i sacrifici che hanno fatto per poterci lasciare un futuro migliore. Erano persone umili, molto legate alla famiglia e ai loro valori e la Casa d’Italia – ha sottolineato la sua presidente – è la vostra memoria storica. Diciamolo con orgoglio, scriviamo il vostro nome sul Muro e preserviamo la vostra storia, per ricordare il vero carattere, la vera essenza del popolo italiano di Montreal».
Angela Minicucci ha dedicato poi un messaggio speciale ai nostri predecessori e ai nostri immigrati:
«Sappiate – ha concluso – che i vostri sacrifici, le vostre sofferenze hanno creato una generazione di figli canadesi molto ricca di valori. Con tutto ciò che avete vissuto non ci lasciate le vostre lacrime, non ci lasciate i vostri sudori, non ci lasciate le vostre ferite né i dolori. Invece, sappiate che ci lasciate l’esempio del coraggio, del dovere, dell’amore per la famiglia, della fede in sé e soprattutto l’esempio della speranza. In questa Casa vi onoriamo e continueremo a conservare la vostra memoria, il nostro retaggio».