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15:04pm9 Febbraio 2016 | mise à jour le: 9 Febbraio 2016 à 15:04pmReading time: 6 minutes

Scultura ed economia!

Il 29 settembre scorso, l’Institut sur la gouvernance (IGOPP), un centro d’eccellenza, ricerca, formazione e  dibattito su differenti temi e fenomeni di rilevanza politico-economica (tanto nel settore privato che in quello pubblico), ha inaugurato, presso il grande atrio della sua sede, al n. 1000 della rue de la Gauchetière, nel cuore di Montréal, il “Murale des grands bâtisseur de l’économie du Québec” (il Murale dei grandi artefici dell’economia del Québec”), un modo per rendere un omaggio a quegli imprenditori che si sono particolarmente distinti creando aziende e imprese di alto livello saldamente ancorate al territorio quebecchese.

Nel “Murale”, troviamo scolpiti, insieme ad una targa che ne traccia un breve profilo, i ritratti di sei grandi artefici dell’economia locale: Laurent Beaudoin (Bombardier), Alain Bouchard (Alimentation Couche-Tard), Paul Desmarais (Power Corporation Canada), Serge Godin (CGI), Stephen Jarislowsky (Jarislowsky Fraser) ed Alphonse e Dorimène Desjardins (Mouvement Desjardins).

L’IGOPP ha affidato il prestigioso compito di scolpire tali ritratti ad Egidio Vincelli, scultore ben noto nella nostra comunità per la sua vasta attività artistica tra cui, ad esempio, la statua-monumento collocata all’ingresso della Casa d’Italia, dedicata alla memoria degli italiani internati durante la Seconda Guerra Mondiale. Il Corriere Italiano lo ha incontrato proprio davanti alle “sue” sculture.

Signor Vincelli, un artista d’origine italiana alla “corte” dell’economia quebecchese. Ci racconta come è nata questa “avventura?”

«Non so perché – racconta Egidio Vincelli in tutta sincerità – hanno scelto proprio me, non l’ho mai saputo; forse hanno visto altri miei lavori e il mio stile è piaciuto! Un giorno di sei anni fa, ho ricevuto una telefonata da parte dell’IGOPP. Volevano illustrarmi il loro progetto. Ci siamo incontrati, abbiamo parlato e alla fine non c’è stato nemmeno bisogno di fare un contratto, è bastata una stretta di mano. Da quel momento ho iniziato a pensare al “taglio” da dare ai profili che definirei, anche se alcuni li chiamano bassorilievi, degli altorilievi in bronzo la cui realizzazione ha richiesto molto lavoro preparatorio».

Da dove ha iniziato per “confezionare” questi sei ritratti?

«Sono partito da alcune fotografie; in alcuni casi sono andato io stesso a farle e ad incontrarli, almeno quelli che era possibile incontrare visto che, a parte coloro che sono già deceduti, sono persone molto occupate. Era importante capirne la personalità, il carattere, il modo di fare, studiarne il “profilo” in tutti i sensi, la profondità del viso, così da poter poi far emergere alcuni di questi tratti caratteristici dalla materia scolpita. Per fare uno di questi busti ci voglioni circa tre mesi. È un procedimento abbastanza lungo. Ho realizzato un primo modello in creta, ma la creta è molto delicata e soprattutto deve essere costantemente umidificata altrimenti si asciuga, si indurisce e poi non la si può più lavorare. Una volta accettato il modello preliminare si passa alla fase della realizzazione vera e propria che coinvolge la fonderia, non senza aver dato prima gli ultimi ritocchi necessari. Attraverso una serie di delicati passaggi preparatori, si arriva alla forma finale, quella definitiva in bronzo che poi viene trattata con delle patine speciali per evitarne l’ossidazione o il suo deterioramento dovuto ad agenti esterni.

Il primo altorilievo che ho realizzato è stato quello dei Desjardins. Poi sono andato avanti con gli altri a cui ho potuto mostrare il modello preparatorio ricevendo qualche consiglio, qualche dettaglio in più che mi potesse aiutare nella composizione dell’opera. Ho fatto anche in tempo a far vedere il modello preparatorio a Paul Desmarais prima che morisse. Quando faccio un ritratto di questo tipo, che sia di profilo o frontale, sorridente o meditativo, l’importante è cercare di tirare fuori l’aspetto psicologico della persona. Spesso, oltre alle foto, utilizzo anche dei video delle persone; quando sono nel mio atelier e comincio a preparare il modello li guardo in continuazione proprio per cercare di carpire qualche segreto della loro personalità, l’ “anima” della persona e non soltanto la sua somiglianza».

Com’è l’atelier di uno scultore?

«Un “manicomio”. Rumore, strumenti, materiale, polvere, acqua. Ma la cosa più importante è che posso chiudere la porta e, se voglio, fare rumore 24 ore su 24 perché non disturbo nessuno. Ho avuto l’opportunità, 14 anni fa, di trasferirmi all’Île Bizard, ho un grande spazio a disposizione dove posso lavorare in tutta tranquillità, dove posso preparare le “basi” delle mie sculture per poi caricarle in macchina, con tutta l’accortezza possibile, e portarle ad Inverness, ad una ventina di minuti da  Quebec, dove si trova la mia fonderia di fiducia».

Cosa ha significato per lei questo incarico?

«Prima di tutto una bella responsabilità, perché questo è un lavoro che rimarrà nel tempo. Finché questo edificio esisterà esisteranno anche le sculture. Poi una grande fonte d’orgoglio. Io, figlio di immigrati italiani, sono stato scelto per realizzare tali opere. Rappresenta un grande riconoscimento da parte della società quebecchese che mi ha accolto e di cui mi sento parte integrante. Infine, il fatto che mi hanno già commissionato per la primavera altri tre ritratti significa che il mio lavoro è piaciuto. Se così non fosse stato, vista l’importanza dei personaggi, avrebbero già scelto un altro artista …!».

Visto che abbiamo parlato di origini italiane, continuiamo …!

«Facendo alcuni passi indietro, sono nato a Casacalenda (Campobasso), e sono arrivato in Canada a 6 anni, nel novembre del 1953. Ho sempre avuto, fin da piccolo, una grande passione artistica. A 17 anni ho avuto la fortuna di frequentare la scuola di Belle Arti una scuola che ora non esiste più ma che è stata fondamentale. L’arte per me non è un lavoro è una passione».

Che artista è Egidio Vincelli?

«È uno “scultore-modellatore”; mi piace molto lavorare con la creta, voglio sentirla con le mie mani, vedere che diventa qualcosa, un’immagine, una figura e questa è una cosa che ancora oggi mi stupisce. Mi piace molto anche disegnare e dipingere ma negli ultimi 14 anni ho fatto solo scultura e sono sicuro che questa è la cosa che più mi piace. Anche quando studiavo a scuola i professori mi dicevano che “utilizzavo il pennello come un martello!” Mi definisco un “simbolista”, nel senso che cerco di andare al di là delle apparenze, per scoprire o far scoprire – ed è questa la “sfida” più importante per un artista – il vero significato delle cose».

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