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16:46pm25 Giugno 2014 | mise à jour le: 25 Giugno 2014 à 16:46pmReading time: 6 minutes

L’identità ritrovata

Gino, un orfano di 4 anni, fu salvato dai soldati canadesi nel 1944, durante la battaglia di Cassino. Alla ricerca per lungo tempo della sua vera identità, 70 anni dopo, scopre che coloro che restano della sua famiglia sono proprio qui a Montreal. La settimana scorsa, tra la commozione generale, li ha incontrati per la prima volta.

È una di quelle storie che, pur nella sua drammaticità, hanno un lieto fine. Fortunatamente, perché, spesso, non è stato così durante la Seconda guerra mondiale, un “mostro” che nel giro di 5-6 anni, spazzò via dalla faccia della terra milioni di vite e ne spezzò, se non fiscamente, almeno moralmente, milioni di altre. È la storia di Gino, nato Bragaglia, diventato “Birgaglia”, poi Farneti, Farnetti ed infine Farnetti-Bragaglia.

Ma è meglio procedere con ordine e lasciarla raccontare a Tony Battista, ex addetto militare presso l’Ambasciata canadese a Roma, ora direttore esecutivo della CAD, la Conferenza dell’Associazione della Difesa, un’organizzazione civile canadese che si occupa di questioni strategiche e di difesa che ha, tra i suoi obiettivi, anche quello di commemorare eventi storici di grande importanza.

«Quella di Gino non è una storia, è una favola», ha raccontato al nostro giornale il signor Battista, incontrato la settimana scorsa alla Casa d’Italia, in occasione di un gala in onore dell’illustre ospite. «Era il mese di giugno del 1944. Alcuni soldati canadesi di stanza nella zona di Torrice, nella Valle del Liri, vicino Frosinone, ritornando all’accampamento, sentirono alcuni lamenti e trovarono un bambino di 4-5 anni. Era ferito, sporco, disorientato, impaurito, affamato. Si presero cura di lui. I soldati canadesi, non parlando l’italiano, capirono che si chiamava Gino “Birgaglia” (e non Bragaglia) e così cominciarono a cercare qualcuno con quel cognome ma non trovarono nessuno. La gente del luogo sapeva dell’esistenza di un piccolo di nome Gino e sapevano anche che non aveva più genitori. Gino era rimasto orfano. I soldati lo tennero con loro, gli diedero una (mini) uniforme, gli insegnarono qualche parola d’inglese, gli facevano fare qualche lavoretto e lo “coccolavano” come fosse un loro figlio. Erano ragazzi giovani di 19-20 anni. Lo portarono fino a Ravenna dove si erano spostati, poi da lì i canadesi dovettero continuare la guerra più a nord, in Francia e Olanda e non potevano più porterselo dietro anche perché non aveva documenti, non aveva una vera identità, e lo fecero adottare, tramite un loro amico americano rimasto a Ravenna, da una famiglia del posto, Antonio e Rina Farneti. Così Gino rimase a Ravenna, e intorno al 1952-53 ricevette i suoi nuovi documenti, i funzionari, chissà perché, avevano deciso che il suo nome era Gino Farnetti (con due “t”) e che era nato nel mese di maggio del 1939, quando, invece, era nato nell’aprile del 1938, ma questo lo si scoprirà solo più tardi. 

Gino crebbe, dunque, a Ravenna. Fece i suoi studi, diventò ingegnere, mise su famiglia, andò a lavorare nelle raffinerie di petrolio in Arabia Saudita e Kuwait. Poi tornò in Italia e si sistemò a Manfredonia dove ci sono le raffinerie italiane.

Questa storia – ha proseguito Tony Battista – ha continuato a circolare negli anni in alcuni giornali canadesi e italiani ma senza che nessuno si preoccupasse di ricostruirla veramente finché un giorno, siamo nel 2009, la signora Mariangela Rondinelli, un’insegnante di Bagnocavallo, vicino Ravenna, vide una foto di Gino con i due soldati canadesi Mert e Paul, dietro a loro c’era una montagna. La signora Rondinelli collabora con “War time friends”, un gruppo di ricerca sulle vicende della Seconda guerra mondiale. Un membro di questo gruppo, Gianni Blasio, riconobbe la montagna nella foto. Era nella zona di Torrice. Andarano sul posto, cominciarono a fare delle ricerche nelle biblioteche e negli archivi, ricerche alle quali parteciparono anche le autorità di Torrice e così facendo finirono per trovare alcuni documenti relativi al padre del bambino, il quale aveva avuto tre figli, ed uno di questi era proprio il “piccolo” Gino. Il “mistero” dell’identità era stato finalmente svelato!

Il 16 dicembre 2012, nel corso di una cerimonia tenutasi a Torrice, Gino Farnetti ricevette, infine, il suo vero certificato di nascita (aprile 1938 e non maggio 1939), i suoi veri documenti, la sua vera identità, quella di Gino Farnetti-Bragaglia, e la cittadinanza onoraria della cittadina laziale. Gino visitò il luogo dove sono sepolti i suoi genitori, il posto dove fu trovato e sul quale è stato piantato un acero rosso ed è stata affissa una targa in ricordo della vicenda con le due bandiere italiana e canadese. Inoltre, venne anche a conoscenza del fatto che aveva due fratelli, il più anziano morto in guerra, l’altro, invece, Domenico, sopravvissuto ed emigrato proprio qui a Montreal, dove morì nel 1999. Ma né Gino né il fratello sapevano dell’esistenza l’uno dell’altro. Gino scoprì, dunque, di avere parte della sua famiglia a Montreal, famiglia che, finalmente, ha potuto riabbracciare in questi ultimi giorni.

Ricoprendo, nel dicembre 2012, ancora il ruolo di addetto militare canadese presso l’Ambasciata di Roma – ha concluso Tony Battista – fui invitato dalle autorità di Torrice alla cerimonia e fu in quell’occasione che conobbi Gino e la sua incredibile storia. In quel momento è nato in me il desiderio, il “sogno” di farlo venire in Canada per conoscere la sua famiglia, e così è stato.

La settimana scorsa Gino Farnetti-Bragaglia è stato accolto a Montreal, ad Ottawa, dove il Parlamento canadese ha reso omaggio a lui e al contributo dei soldati canadesi con il loro splendido esempio di “umanità”, e a Toronto, dove risiede una folta comunità originaria della zona del frusinate».

Infine, è stato lo stesso Gino a raccontare il suo stato d’animo. «L’emozione più grande – ha detto – l’ho vissuta quando mi sono recato per la prima volta dopo 60 anni a Torrice, nella casetta dove sono nato. I ricordi che avevo seppellito sono riapparsi e avevo una grande confusione. Da un lato ricordavo la mia mamma che piangeva, la fame, la tanta fame che avevo, poi quei soldati che mi hanno ritrovato e mi dicevono “siamo amici, siamo canadesi”.

Poi quel 16 dicembre 2012 a Torrice, mi hanno portato al cimitero dove ho visto la tomba della mia mamma. Ho ritrovato la mia identità, il mio certificato di nascita. Oggi, ho ritrovato una famiglia intera in Italia e proprio qui a Montreal. Voglio ringraziare di nuovo quei tre soldati canadesi, i miei angeli custodi, che mi hanno salvato. Io in Canada mi sento a casa».

f_intravaia

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