Arte e spettacolo
20:36pm28 Maggio 2021 | mise à jour le: 1 Giugno 2021 à 13:35pmReading time: 6 minutes

“La seconda patria, quando i migranti siamo noi” di Paolo Quaregna all’ICFF

“La seconda patria, quando i migranti siamo noi” di Paolo Quaregna all’ICFF
Photo: Foto cortesia ICFFIl poster del documentario "La seconda patria"

Sulla piattaforma del Festival del Film Italiano contemporaneo dal 30 maggio all’8 giugno

Dopo l’ottimo riscontro ottenuto da “La stoffa dei sogni” di Gianfranco Cabiddu, presentato in collaborazione con l’Associazione Sardi del Québec, la programmazione online del Festival del Cinema Italiano Contemporaneo del Canada (ICFF) prosegue con il documentario “La seconda patria” interamente girato in Québec dal regista Paolo Quaregna.

Il film partendo da Giovanni ‘Johnny’ Stea, pugliese di Sannicandro, trapiantato nel gelido nord quebecchese, ripercorre le vicende di nove immigrati che pur mantenendo un forte legame con la propria “italianità”, hanno saputo riadattarsi al nuovo contesto sociale, creando legami solidi come quello che proprio Stea ha sviluppato con il musicista Innu Florent Vollant.

Resistere e sapersi chinare per potersi rialzare più forti di prima, è ciò che hanno fatto gli italiani in Canada, proprio come l’albero di fico che ogni inverno, viene piegato e messo sotto terra per consentirgli di sopravvivere alle rigide temperature e per poi essere dissotterrato in primavera, in modo da ricominciare a produrre i suoi frutti.

Il destino o semplicemente l’intuito porteranno Johnny ad emigrare prima in Belgio, poi a Toronto, Montréal ed infine a Shefferville dove in inverno si raggiungono finanche i 50 gradi sotto zero.

Johnny si mostra eclettico, lavora in ferrovia, in miniera, diventa cuoco ed infine macellaio. Si costruisce una casa dove il terreno costa meno: al confine con la riserva degli indiani Innu, con cui stringe amicizia.

Negli anni ‘80, con la chiusura delle miniere, l’intera regione è costretta ad affrontare una terribile crisi economica, Schefferville diventa una città fantasma e ancora una volta gli Stea sono sul punto di trasferirsi. Restano a Sept-Îles, a mille chilometri da Montréal, a causa di una formalità che impedisce loro di trasferirsi negli Stati Uniti ed è allora, grazie ad una ricetta di involtini che riscuote un discreto successo, che gli affari riprendono, premiando i loro sforzi.

Il successo personale e professionale di Johnny è arrivato poco a poco, attraverso sacrifici, rinunce e l’abbandono della propria terra considerato ‘temporaneo’ per decenni, fino a quando le radici nella ‘seconda patria’ sono diventate più ramificate di quelle che lo legano alla sua Puglia.

Le altre storie

Quella degli Stea non è l’unica storia di migrazione raccontata ne “La seconda patria”. La galleria di personaggi proposta da Quaregna prosegue con Guido, venuto a conoscenza dell’esistenza dei suoi fratellastri in Italia, abbandonati dal padre quando era emigrato, Rita nata in Canada, ma riportata a forza in Italia quando i genitori si sono separati, Carlo, barbiere trevigiano emigrato negli anni ’50 e il figlio di un immigrato lucchese, Bruno, per il quale il vero trauma è stato l’abbandono di Shefferville, la sua città natale.

Molto significativa è anche la testimonianza di Tony Nardi, arrivato a Montreal nel 1958 ed alle prese, durante la sua giovinezza, con un persistente spaesamento identitario. Oggi Nardi, dopo aver recitato in perfetto Italiano, Francese ed Inglese in decine di film, è un attore affermato ma i ricordi dei suoi vent’anni, che ci riportano alla Montréal degli anni ’80, lacerata dal conflitto tra anglofoni e francofoni, evidenziano che lo spazio di rappresentanza delle minoranze, non era affatto scontato. In quel contesto la madre gli ricordava costantemente di non essere un vero italiano, alimentando il disorientamento culturale di Tony, cresciuto sentendosi sempre “né uno né l’altro”.

Paul Tana

Un altro protagonista del documentario è il regista Paul Tana che racconta la difficoltà di una emigrazione vissuta da bambino e che ha comportato un vero e proprio choc culturale.

Tana continua a interrogarsi sul complesso rapporto con l’Italia e manifesta un certo risentimento per il disinteresse della madrepatria verso i propri emigranti.

Il suo intervento riconduce inoltre a quello che forse è la domanda cardine del film: che cosa accomuna le innumerevoli storie di emigrazione nel corso delle diverse epoche storiche?

La risposta è fornita dallo stesso Quaregna che afferma: “ciò che mi ha sempre attirato è lo ‘spirito nomade’ di popoli che, se non c’è cibo sul proprio territorio, si mettono in marcia per cercarlo in altri luoghi invece di fare la guerra ai propri vicini. Una caratteristica che ho trovato in molti immigrati italiani, soprattutto in quelli che sono riusciti ad adattarsi a lavorare in condizioni estreme. Lo ‘spirito nomade’ era il collante che li univa agli autoctoni che, prima di ogni ondata migratoria, hanno vissuto per secoli in quelle terre. Ne ho avuto la conferma, documentando i solidi legami di stima e di amicizia che sono nati tra gli italiani e i nativi nelle terre più lontane e fredde, là dove è più difficile vivere, nei distretti minerari del Nord”.

Migrazioni di ieri e di oggi

Inevitabili i riferimenti nel film al fenomeno migratorio odierno. Quaregna ha precisato chiaramente il suo punto di vista a riguardo: “mi è stato chiesto se intendevo intervenire nel dibattito sull’attuale accoglienza degli immigrati. Tra le immagini d’archivio che ho utilizzato, c’è una sequenza tratta dal documentario “Note su una minoranza”di Gianfranco Mingozzi, girato tra gli italiani in Canada nel 1964. Si vedono le lavoratrici giornaliere italiane che, all’alba, si stipano nei camion che le portano al lavoro nella Toronto degli anni ‘60. Che cosa viene in mente di fronte a quelle immagini? Che cosa è cambiato, se non il luogo di partenza? Ho resistito alla tentazione, che sarebbe stata ‘esteticamente’ non felice, di giustapporre una sequenza con i braccianti di oggi, trasportati dai caporali nei furgoni, nella Puglia lasciata da Stea settant’anni fa. E anche di dedicare una sequenza ai giovani che, a centinaia di migliaia, non trovando un lavoro adeguato in Italia, espatriano verso Germania, Regno Unito, Australia e Canada.

Per riflettere su questi temi basta ascoltare i racconti e le emozioni degli italiani che hanno lasciato l’Italia negli anni ’50-‘60 e dei loro figli. Per questo motivo ho scelto un sottotitolo al tempo presente: ‘Quando i migranti siamo noi’”.

“La seconda patria”, prodotto da Ila Palma – Dream Film in collaborazione con l’Istituto Luce-Cinecittà e coprodotto dai canadesi di Filmoption international, sarà preceduto da una presentazione del Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, Prof. Francesco D’Arelli e resterà disponibile sulla piattaforma del festival del cinema italiano contemporaneo, dal 30 maggio all’8 giugno.

Info: www.icff.ca

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