Arte e spettacolo
20:13pm11 Dicembre 2017 | mise à jour le: 15 Giugno 2021 à 20:19pmReading time: 5 minutes

Armani, a 83 anni e mezzo aspiro ancora alla perfezione

È il lavoro che mi ha portato dove sono, lasciandomi alle spalle durezze e difficoltà

 

Uno spazio dell’Arrmani/Silos al numero 40 di via Bergognone, progetto di restauro e riqualificazione di un ex spazio industriale per la conservazione dei cereali, trasformato in pochi di mesi di lavoro da parte dello stilista nel suo ‘museo’, nello spazio per mostrare a tutti il lavoro di 40 anni di moda e di successi, Milano

(NoveColonneATG) Milano – “Mi chiamo Giorgio Armani, sono nato ottantatré anni e mezzo fa fa (l’11 luglio 1934  a Piacenza sotto il segno del Cancro. Credo di aver contribuito a cambiare il modo di vestire di uomini e donne, e questa è una delle più grandi soddisfazioni. Dopo oltre quarant’anni di onorata attività, con tutta questa esperienza sulle spalle, sarei autorizzato a tirare i remi in barca e godere di quel che ho. Ma non ci riesco. Riposare sugli allori non fa per me. È vero, l’atteggiamento è senza dubbio italiano.

Dovrei ritirarmi, ma perché? Per vivere in vacanza permanente? Viaggiare per il mondo? Lo faccio già, in parte. Ma non mi basta. L’urgenza di far cose concrete mi prende e mi sovrasta. È il lavoro che mi ha portato dove sono, lasciandomi alle spalle le durezze e le difficoltà. Attraverso il lavoro mi realizzo ogni giorno. Tutto qui”.

Giorgio Armani si racconta in esclusiva a GQ in un autoritratto. Il grande stilista per la prima volta scrive di se stesso e al tempo stesso posa per la macchina fotografica di David Bailey. È un Armani completo: intimo e privato, e al tempo stesso imprenditore e businessman. “Sento ancora il bisogno di esprimere la mia visione e lo faccio impegnandomi al massimo, come il primo giorno. A volte mi fermo e mi chiedo: a chi devo ancora dimostrare qualcosa? Ecco, la risposta ce l’ho: a me stesso. Lo dico onestamente. Mi interessa il giudizio degli altri, ma il mio giudice più severo è il signor Giorgio Armani. Sono un perfezionista cronico, ed è in questo che trovo la spinta incessante a fare di più e meglio. Qualcuno mi disse una volta che successo e ossessione sono parenti, e penso proprio che sia così. Ma il successo per me non è mai stato l’accumulo della ricchezza, piuttosto il desiderio di dire, attraverso il mio lavoro, come la penso”. (…)

Sono un uomo di fatti, non di parole. Sarà forse per un pudore eccessivo, frutto di una morale rigorosa, ma come mi è difficile esibire il mio privato, che proteggo gelosamente, così detesto autoincensarmi o crogiolarmi nella contemplazione di ciò che di buono ho conquistato. Che è molto, certo, ma che ancora può essere tanto. Amo le sfide, infatti. Nell’affrontare una nuova avventura potrò conoscere qualcosa che prima non sapevo, di me come del mondo, e quindi evolvermi, migliorarmi. Il tempo passa velocemente, ma non ho l’ossessione di rimaner sempre giovane, sarebbe un atteggiamento da perdenti.

La giovinezza non è un fatto anagrafico, per me, ma mentale: la si perde quando si smette di essere in sintonia con i tempi e con quanto ti sta intorno. Sull’osservazione della realtà io, invece, ho costruito la mia azienda: fin da subito ho voluto vestire donne e uomini veri, e poi, quando ho pensato all’Emporio, i giovani. Volevo che i miei abiti dessero loro una nuova consapevolezza del proprio valore, che rispondessero ai ruoli che stavano cambiando in una società che si muoveva in fretta. Forse è per questo che spesso mi chiedono che cosa penso dei giovani di oggi. I giovani li osservo con la curiosità e l’attenzione di sempre, anche se a volte mi sembrano arrivati da un altro spazio e da un altro mondo. Ammiro tutti i giovani che credono nelle proprie scelte al di là dell’attività che hanno scelto, secondo la propria personalità, come ho fatto io. È quello che io suggerisco sia ai giovani che mi stanno a fianco nel lavoro sia a quelli che non conosco e che affettuosamente mi chiedono un consiglio”.

“Il mio lavoro è la mia vita. E Milano è la mia città

Le due cose si legano. È la città che ho scelto: gode di una bellezza che è molto vicina al mio stile di vita, al mio modo di vedere le cose. Una bellezza discreta che ancora oggi si nota in alcuni dettagli della sua architettura: i palazzi di Milano sono meno opulenti di quelli di altre città, per esempio di Roma, ma se si va al di là della facciata, si scoprono interni fantastici. Piccoli grandi giardini, atmosfere raccolte e raffinate che fanno pensare a qualcosa di intimo e privato.

Negli anni Milano è cambiata, pur non perdendo l’atmosfera coinvolgente e protettiva nella quale ti puoi immergere con il tuo lavoro e con la tua vita. Perché Milano ti permette di entrare nella sua vita, secondo le tue esigenze. Io per esempio ho pochissime ore al giorno per me stesso: la mia scelta di vita è stata il lavoro. Ed è proprio per questo che sento di fare parte di questa città, come questa città fa parte di me. Certo ho dei rimpianti per il tempo che non ho potuto passare con i miei cari e per i posti meravigliosi del mondo che non ho potuto vedere.

Ma non riesco a essere diverso: questo lavoro lo faccio per passione assoluta, viscerale. Lo faccio con impegno e dedizione. E non avrei immaginato che sarei diventato tanto famoso in tutto il mondo. Però la notorietà è lì. In un certo senso incombe su di me, non mi ci sono ancora abituato. La vivo con un misto di emozione e disincanto. Averla raggiunta che avevo già quarant’anni, dopo una lunga e temprante gavetta, mi ha di certo aiutato a non perdere la testa.

Ho capito, da subito, quanto volatile sia il plauso, quanto la gloria di un giorno possa diventare polvere il successivo. Questo pensiero mi ha sempre aiutato, nel lavoro come nella vita.”

 

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