Arte e spettacolo
14:55pm23 Febbraio 2017 | mise à jour le: 23 Febbraio 2017 à 14:55pmReading time: 3 minutes

Dall’Italia all’ “Eco di Istanbul”

I documentari e i progetti di Giulia Frati

Un’immagine del documentario “Eco di Istanbul”

Lowik Média_Les Films du 3 mars

Il 28 febbraio, alle ore 21, presso il “Pavillon Judith-Jasmin Annexe-Salle Jean-Claude Lauzon”, dell’UQAM (1564 rue Saint-Denis, Montreal), verrà presentato il documentario di Giulia Frati “Échos d’Istanbul”, nel quadro della 35ma edizione dei “Rendez-vous du Cinéma Québécois (RVCQ)”.

Giulia Frati è nata a Cernobbio (Como) ed arrivata a Montreal nel 1988, all’età di 12 anni. Dopo aver terminato il Cegép ha studiato Cinema all’Università Concordia ed ha realizzato un primo documentario raccontando la storia della nonna e del suo giardino – “Il giardino di Pupa” –  che è riuscita nell’impresa di traformare una discarica abusiva di Cernobbio in un giardino pubblico a disposizione di tutta la comunità. E siccome un documentario tira l’altro, Giulia ha pensato di approfondire questa strada che in realtà l’ha portata fino ad Istanbul.

«Ci sono andata in vacanza per la prima volta nel 2008 e questa città mi ha colpito particolarmente. Istanbul – spiega Giulia – è una città affascinante, stimolante, piena di energia, con una forte creatività, un posto storicamente speciale dove c’è un mix di culture, di popoli, di tutto. Così ho deciso di tornarci più volte per capirla meglio e per preparare appunto “Échos d’Istanbul”, girato direttamente in turco. A me piacciono molto le lingue ed ho imparato anche un po’ questa lingua molto difficile».

 

Di cosa parla il documentario?

«Dei venditori di strada di Istanbul, dei quartieri in cui abitano che stanno cambiando, antichi quartieri storici che vengono distrutti e ricostruiti in maniera “moderna” cambiando completamente la faccia e il tipo di popolazione che ci abita. Sono i venditori ambulanti che affilano il coltello, che vendono il latte fresco, gli ortaggi, il pane, i piccoli commercianti, che hanno i loro suoni, i loro gesti, gente che fa questi mestieri artigianali da anni, mestieri e tradizioni che stanno scomparendo».

 

E dopo Istanbul cosa farai?

«Sono in un periodo di riflessione; il documentario è un mezzo fantastico per raccontare il mondo che ci circonda, la nostra realtà, vorrei continuare con altri progetti ma non escludo un giorno di dedicarmi anche alla “fiction”».

 

Oltre ai documentari ti occupi di altre cose?

«Si, faccio parte di “Makila Coop”, una cooperativa che si occupa di aiutare i creatori indipendenti a sviluppare idee, a trovare fondi per sviluppare diversi tipi di film, per il mondo del cinema e dell’audiovisivo. E, all’interno della cooperativa, abbiamo dato vita ad un progetto chiamato “Cuban Hat”, sempre nell’ottica di aiutare coloro che vogliono fare film, documentari o altri progetti audiovisivi, sia ad inserirsi più facilmente nei mercati, che spesso sono elitari, che a trovare i mezzi necessari per realizzare i loro progetti. Inoltre, e questo riguarda più specificamente l’Italia, sto lavorando ad un paio di progetti: il primo riguarda una coproduzione che concerne l’agricoltura su piccola scala e il secondo è un progetto di scambio, già fatto con il Messico e la Francia, per portare dei creatori italiani in Quebec e viceversa, per creare una specie di ponte tra queste due realtà».

Per tutte le informazioni relative ai “Rendez-vous”: www.rvcq.com

CTVM.info

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