“La forma dei luoghi – Memorie d’Abruzzo”. Le foto di Antonio Di Cecco alla Casa d’Italia
Domenica 17 luglio viene inaugurata alla Casa d’Italia, la mostra fotografica di Antonio Di Cecco “La forma dei luoghi – Memorie d’Abruzzo” che racconta, attraverso una ventina di immagini, alcuni aspetti particolari di questa regione che sarà al centro delle celebrazioni della 29ma edizione dell’ItalfestMTL, (5-20 agosto).
Antonio Di Cecco è nato a l’Aquila nel 1978 e gestisce nel capoluogo abruzzese, dove risiede, lo studio di fotografia “ContrastiUrbani”. Oltre a occuparsi di fotografia di architettura e di paesaggio, la sua incessante ricerca fotografica lo ha portato a sviluppare diversi progetti incentrati sui processi di modificazione dei luoghi e sul rapporto tra l’uomo, l’ambiente e il tempo.
«Da abruzzese, da aquilano e, soprattutto da montanaro, sono da sempre affascinato dall’ambito montano, sia come abitante dei luoghi ma soprattutto come fotografo. Quindi – racconta Antonio Di Cecco – da quando, 15 anni fa, ho iniziato a svolgere questa attività, ho sempre portato con me la macchina fotografica, soprattutto in ambiti montani. Avendo la “fortuna” di vivere in una città come L’Aquila e trovandomi vicino al Gran Sasso, che è la montagna più alta degli Appennini, ciò mi ha permesso di creare un dialogo visivo molto forte tra città e montagna cosa che poi è diventata un po’ il punto principale delle mie ricerche e della mia produzione fotografica. Quella “forma dei luoghi”, che è anche il titolo delle mostra, che rimanda al concetto dell’effimero, della durata breve di una forma, di un luogo, soprattutto in ambito montano. Molte delle immagini della mostra sono legate a situazioni evanescenti: a nuvole, a montagne che si scoprono improvvisamente, a condizioni di luce molto particolare.
La mostra – spiega il fotografo – è composta da due sezioni: la prima relativa alla montagna, e la seconda dedicata alla città de L’Aquila che, come sappiamo, ha vissuto nel 2009 il terribile trauma del terremoto, i cui luoghi, proprio a causa del sisma e della ricostruzione, assumono forme in continua trasformazione».
Come affronta la montagna dal punto di vista fotografico?
«Oltre che di giorno – afferma – ci vado anche di notte, soprattutto nel periodo estivo, alla luce della luna, arrivando in cima all’alba con la mia attrezzatura, vivendo e fotografando le mutazioni dettate dal passare delle ore e dai cambiamenti di luce e di atmosfera. Ma ci vuole molta pazienza, molta osservazione, i tempi fotografici sono lunghi».
Riesce a percepire con il suo obiettivo i “danni” inferti dall’uomo all’ambiente o i segni dei cambiamenti climatici?
«Si. Il discorso della fragilità – spiega Antonio Di Cecco -rientra molto in quella che à la mia idea di ricerca. Faccio un esempio che riguarda più che altro la metamorfosi dei luoghi. Anni fa sulle Dolomiti ho fatto un lavoro fotografico ripercorrendo una via d’alta quota in cui erano state scavate le trincee della Prima Guerra mondiale e che oggi è diventata una sorta di museo a cielo aperto. C’è stata una modificazione molto forte della montagna dovuta allo scavo di gallerie, trincee, spaccature e fortificazioni, come fossero appunto delle “ferite” inferte alla montagna. Ho messo queste foto a confronto con quelle di alcuni vecchi ritratti di soldati che hanno combattuto in quei luoghi e che hanno subito delle menomazioni, in una specie di dialogo tra passato e presente.
Anche il discorso dei cambiamenti climatici mi interessa. Attraverso l’osservazione attenta della natura, magari suggeriti dall’occhio esperto di un geologo, si percepiscono dei segnali di cambiamento e di modificazioni dei luoghi».
Sono passati 13 anni dal terremoto dell’Aquila. Com’è la situazione oggi? A che punto è la ricostruzione?
«La fotografo ormai da tanti anni, cercando ogni volta di restituire, e qui torna ancora una volta il discorso del titolo della mostra, la sua forma che però e a maggior ragione dopo il terremoto, cambia in continuazione. Mi riferisco, in particolare, alla possibilità di abitarla da parte dei suoi cittadini, soprattutto all’interno del centro storico fatto di luoghi e palazzi privati e pubblici. La ricostruzione privata e quella pubblica – continua – hanno seguito due strade diverse. La prima è stata più semplificata, quindi ha raggiunto una percentuale di completamento maggiore, quella pubblica è più indietro.
L’Aquila viene considerata una specie di “città territorio” composta da un centro storico, da una periferia e da più di 50 frazioni e centri storici minori. Se ragioniamo sul centro storico e la periferia la percentuale di ricostruzione è abbastanza alta: il privato all’80%, il pubblico intorno al 50%. Se invece andiamo nei centri minori le percentuali si abbassano notevolmente perché gli interventi sono più complessi e la parte burocratica non aiuta.
Negli ultimi 2-3 – prosegue il fotografo – c’è stato un interesse turistico molto forte legato al discorso della ricostruzione. Molti sono venuti qui per cercare di capire di persona come la città si stia trasformando. Un 20% circa delle popolazione non ha fatto più ritorno a L’Aquila preferendo rifarsi una vita altrove. Diverse attività commerciali per forza di cose si sono trasferite in periferia. Molto spesso il centro storico viene accusato di essere un luogo “utile” solo per passare una serata perché ci sono molti locali e ristoranti ma non c’è altro. I palazzi istituzionali, i servizi si sono spostati in periferia. Il centro storico fatica ad essere un nucleo in cui effettivamente avviene uno scambio sociale, commerciale, economico, istituzionale. È un luogo molto complesso da raccontare proprio perché è in continua mutazione ma vale la pena farlo per restituire un futuro a questa città».
Info-mostra
“La forma dei luoghi. Memorie d’Abruzzo”, presentata dall’IIC di Montréal e dall’ItalfestMTL.
Casa d’Italia, 505 Jean Talon Est, Montréal.
Dal 17 luglio all’11 agosto.
Ingresso libero, mart.-ven.: 13-18; sab. e dom. 13-17.