Aldo Mazza tra ricerca, sperimentazione ed insegnamento
di Francesca Sacerdoti – sacerdoti.francesca@gmail.com
Immigrato in Canada dalla Calabria all’età di nove anni, Aldo Mazza ha suonato e collaborato, tra gli altri, con musicisti del calibro di Céline Dion, Jon Bon Jovi, Nikki Yanofski, James Brown.
Percussionista e batterista di fama internazionale, membro del gruppo Repercussion, Aldo è anche fondatore e direttore artistico, insieme a sua moglie Jolán Kovács, dell’accademia KoSA a Montréal. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’imminente workshop “KoSA 24 Drum & Percussion Camp Montreal” (dal 25 al 30 giugno – www.kosamusic.com) che vede la partecipazione straordinaria, tra gli altri grandi artisti, di Steve Gadd.
Aldo, numerosissimi i workshops KoSA nel mondo. Cosa ci puoi dire in più su questo in particolare?
Prima di tutto un po’ di storia. Sono un batterista e percussionista ed è tutta la mia vita che ho fatto questo: come musicista professionista, ho lavorato praticamente con molte persone da Céline Dion a James Brown a Jon Bon Jovi. Come performer con il mio gruppo Repercussion ho fatto tournée in tutto il mondo. Ad un certo punto però ho voluto creare un drum camp, qualcosa di educativo, per dare anche qualcosa indietro. Ed è così che tutto è cominciato 24 anni fa: abbiamo iniziato un drum camp con una lista di 200 persone nella nostra facoltà, i più grandi artisti. Abbiamo cominciato in Vermont e poi abbiamo esportato la stessa idea a Cuba, in Cina, ed anche in tutta Europa. Tre anni fa poi, abbiamo deciso di realizzare questo progetto anche qui a Montréal nello stesso periodo del Montréal Jazz Festival con il quale collaboriamo in parte. La stessa idea, ma più intensa in un certo qual modo. Accettiamo solamente 20 persone, le quali possono essere anche studenti alle prime armi, perché l’idea mia e di mia moglie, sulla quale abbiamo lavorato negli ultimi 24 anni, è che la gente abbia accesso ai migliori artisti, senza necessariamente dover avere 20 anni di esperienza alle spalle. Ritengo che sia molto importante avere le informazioni dai migliori al mondo, la migliore introduzione, il miglior percorso.
Abbiamo un’accademia di musica qui a Montréal e perciò approfittiamo del fatto che abbiamo lo spazio e le risorse. Riguardo a questa edizione in particolare… beh, ogni anno abbiamo grandi artisti. L’anno scorso abbiamo avuto Marc Giuliano, batterista dell’ultimo album di David Bowie, che è stato anche nostro studente in alcuni dei workshops del passato. In particolare quest’anno abbiamo Antonio Sanchez, grande batterista assieme a Pat Metheny che suona al Jazz Festival, ma che è anche compositore: ha composto la musica per il film Birdman. Questa è la sua terza volta alla KoSA Faculty. Abbiamo Dan Weiss, incredibile batterista, Sergio Bellotti, Mark Kelso che ha suonato con Gino Vannelli, ShawnMativetsky, Melissa Lavergne, che è ormai una personalità in Québec, tra l’altro anch’essa ex-studentessa ai KoSA, sia a Cuba che in Vermont.
Ed hai iniziato dunque in Vermont nel 1996?
Sì. La grande cosa è che quest’anno abbiamo anche Steve Gadd che viene in città, vincitore di un Grammy Award, una persona che ha praticamente cambiato il mondo. Ti voglio raccontare una storia…Per me Steve Gadd è stata la persona che mi ha consentito di non abbandonare le percussioni. C’è stato un momento in cui stavo facendo molto lavoro in studio, ma anche a causa dell’era della Disco Music, quando eravamo tutti un po’ pazzi ed in cerca della stessa cosa, ho quasi abbandonato. Quando Steve è arrivato sulla scena, egli ha completamente cambiato il modo in cui suonavamo, il groove, il suono, l’approccio e quindi grazie a lui sono riuscito ad appassionarmi di nuovo alla batteria: mi ha praticamente salvato! Quando ero a New York per studiare, ho avuto l’occasione di conoscerlo molto bene. Siamo amici ormai da molto tempo, ma lui solitamente non fa questo tipo di clinics o workshop, non ha tempo, è più concentrato sul suonare. Pertanto lui sta facendo questo veramente come un favore speciale perché sa che quello che facciamo qui è importante. È praticamente una speciale e rara opportunità per le persone di venire e studiare con Steve Gadd al nostro workshop.
Aldo, tu hai anche esportato il Kosa Camp in Calabria, nel 2016. Come è stato tornare in Italia con questo bagaglio di passione, di musica…quale è stata la tua esperienza? È stata diversa rispetto alle altre?
Per me ha rappresentato tornare un po’ indietro alle mie origini. Io vado comunque spesso in Italia, ma questa particolare esperienza è stata fantastica. Quando siamo stati in Calabria, l’idea era comunque quella di studiare le percussioni in un senso generale. Ma anche quella di studiare più in particolare le forme locali, come la tarantella ed il tamburello. Per esempio, alcune persone come Andrea Piccioni, calabrese di nascita ma romano di adozione, hanno partecipato assieme ad altre con il loro approccio. Siamo partiti in modo tradizionale, cercando prima di esporre le persone a queste forme diverse, poi, in seguito, cercando di adattarle alla batteria assieme ad artisti internazionali. In un certo qual modo abbiamo cercato di unirle, di spingerne i limiti ma sempre rispettando le tradizioni. E questa è stata proprio l’idea: guardiamo cosa fanno loro e incorporiamolo con quello che facciamo noi, senza cambiare nulla. Per il prossimo anno, che è anche il 25 anniversario di KoSA, stiamo già pensando di fare di nuovo qualcosa in Italia, e sono decisamente molto felice all’idea.
Un’altra tua grande passione è sicuramente quella per le percussioni ed i ritmi cubani. Numerosi i progetti legati all’isola: da il Jiardines del Rey, Cuba Jazz Festival, agli annuali KoSA Cuba Workshops, ed anche la realizzazione di un libro metodologico Cuban Rhythms for Percussion and Drumset: The Essential uscito nel 2017. Cosa ci puoi raccontare su questi diversi percorsi da te intrapresi?
Abbiamo portato avanti questi progetti a Cuba per più di 18 anni ormai. Il progetto KoSA Cuba è diviso in due parti: una è la parte educativa, dove organizziamo workshops come camp: la gente viene da tutto il mondo per studiare con noi la musica ed il ritmo cubano con i più grandi artisti. Il secondo progetto è quello di portare direttamente i gruppi nelle scuole e nelle università, organizzando una settimana speciale per loro. Ma ritornando un attimo alla parte educativa; puoi trovare per esempio persone come Changuito, che ha inventato il ritmo Songo, che sono ancora vive e noi le abbiamo come insegnanti, e questo è molto eccitante!
Per diverse persone è molto difficile imparare perché spesso hanno un’idea totalmente sbagliata…non gli è stato insegnato propriamente…ho fatto dunque una ricerca attraverso vari libri che avevo già letto in passato e per quanto questi siano comunque buoni, hanno delle parti mancanti. Perciò, attraverso gli anni, ho deciso di fare diverse domande a tutte le persone che hanno partecipato ai workshops. Trovandomi nel mezzo, ho osservato come i cubani rispondevano e viceversa come noi ponevamo le domande e ad un certo punto ho realizzato che ponevamo le domande sbagliate. Quindi, mi sono detto che dovevo scrivere questo libro, perché non esiste una sola musica a Cuba, ci sono almeno cinque o sei pilastri su cui poggia e diverse storie da cui deriva.
Dunque, conoscendo queste storie diverse, sono stato in grado di spiegare attraverso il mio libro, Cuban Rhythms for Percussion and Drumset, che prima di tutto questi sono ritmi cubani, non afro cubani, non latini. Bisogna essere specifici, che cosa è? È Songo, e’ Cha cha cha, e’ un Mozambique? Tutti questi sono ritmi cubani, inventati a cuba eseguiti con strumenti musicali cubani. L’intero approccio al libro, è dunque stato: ognuno deve imparare i ritmi, le differenti parti dei ritmi. Successivamente i percussionisti prendono questi ritmi li trascrivono o li adattano, ma, prima di ogni cosa, si deve imparare da dove provengono, altrimenti nulla ha senso.
Ho avuto tantissime persone coinvolte a Cuba per questo progetto ed in ogni momento della realizzazione ho chiesto loro cosa ne pensassero. Sono l’unico non cubano, una sorta di mediatore: ho messo tutto insieme, tutta questa metodologia in accordo con il nostro metodo di apprendimento. Nel DVD allegato ci sono 75 tracce play-along e 38 video clips sulla tecnica.
In generale, cosa vuol dire per te insegnare la musica?
Prima di tutto penso che la musica sia un regalo mandato da Dio. Esattamente da dove essa provenga o come ne siamo venuti in possesso è un mistero. Penso che gli uomini abbiano creato la musica in quanto bisogno speciale: essa è comunicazione, è una lingua, la lingua universale per eccellenza. Puoi essere in Africa, in Cina, in Korea, puoi essere ovunque, e tutti sono in grado di comprendere la musica. Non hai neanche bisogno di parlare. Essa mette da parte ogni idea politica, ogni questione economica. In più basti pensare cosa fa al cervello: la musica sviluppa una specifica intelligenza, una responsabilità sociale.
Non puoi suonare con altre persone se non hai lo stesso tempo. Per far si che riesca bene, tutti devono essere allineati. Una grande lezione da imparare. In più, ad un altro livello, la musica ha anche un potere curativo. È stato provato che le persone stanno meglio, mentalmente e fisicamente. Nelle società, una delle cose che non dobbiamo far sparire è il “musical training”, qualcosa che rende le persone migliori.
Facciamo un passo indietro e torniamo all’inizio della tua storia. Sei arrivato in Canada dalla Calabria che avevi 9 anni. Quale è stato ed è il tuo rapporto con la comunità italiana, quali i tuoi ricordi?
Sono cresciuto ad Ottawa, non a Montréal e quando siamo venuti, mio padre era già qui da tre anni. La cosa bella riguardo alla comunità italiana, è questo forte legame che la unisce, tutti hanno una missione e si aiutano a vicenda. Per me è stato molto importante, un supporto fondamentale, perché quando arrivi sei un emarginato, rubi il lavoro degli altri, non appartieni a quel posto, ed alla fine devi confrontarti con tutto ciò. Quindi la comunità ha rappresentato sempre un grande sostegno. Mio fratello, è stato un importante scrittore, gran conoscitore e studioso di Pasolini e Montale, molto conosciuto anche in Italia, dove ha vinto diversi premi. Ha insegnato all’ Università di Toronto and anche a quella di Ottawa. Ad un certo punto egli ha scoperto un libro La Ville Sans Femmes, inerente l’esperienza degli italiani internati in Canada durante la seconda guerra mondiale. È stato un amico di famiglia che ha dato a mio fratello questo libro, sapendo che lui era uno scrittore. L’autore era un giornalista che aveva lavorato per Le Devoir, Mario Duliani, e che era stato internato per due, tre anni. Gli italiani internati, non sapevano per quale motivo fossero lì, avevano perso tutto, il loro status sociale, le loro famiglie, è stato veramente drammatico per loro. Quindi, quando mio fratello ha visto questo libro, ha deciso di fare diverse ricerche in merito, ed infine ha scritto un libro The City Without Women: a chronicle of internment life in Canada during the Second World War contestualizzando tutta la storia. Includendo il libro originale ma integrandolo con tutto il contesto storico. Sono inoltre stati realizzati dalla comunità stessa diversi documentari al riguardo. Penso che sia importante per noi sapere che tutto questo è successo, può succedere qui, ed ovunque, in qualsiasi momento; ed è importante per le persone conoscere quale è stata la storia.
Inoltre mio fratello, che è stato anche un poeta, ha anche scritto alcuni brani sull’esperienza dell’immigrazione italiana: la perdita della memoria culturale, il passaggio dal paese alla metropoli e cosa accade in tale processo. Ha iniziato ad andare in giro leggendo le sue poesie, un’esperienza vivida, era fantastico. Ad un certo punto io gli ho proposto di provare qualcosa di diverso. Così ho registrato la sua voce e gli ho mandato una registrazione completa dove avevo inserito della musica. La gente fu entusiasta! E quindi ho suggerito di realizzare un intero album così, e lo abbiamo fatto, proprio intorno alle sue poesie. Abbiamo chiamato quest’album The way I Remember it divenuto poi una grossa hit.
La cosa divertente è stata che, un weekend ero a casa dei miei genitori ed una sera, nel mentre che stavamo realizzando questo album con mio fratello, mio padre inizia a suonare il tamburello su di un secchio. Io quindi presi la mia batteria, la diedi a lui, e dissi “adesso suona questa” e lui la suonò benissimo! Poi gli dissi anche “io vado a New York, vado a Los Angeles, vado a studiare con tutti questi grandi professionisti, e te suoni meglio di queste persone! Com’è possibile che non abbia capito o visto tutto questo prima?!”. Ed egli mi rispose: “beh, lo sai, quando siamo venuti qui, avevamo da lavorare, dovevamo prenderci cura di molte cose, e non ne abbiamo mai parlato”. E questa è stata una rivelazione per me! Ho chiamato subito mio fratello che aveva 12 anni quando siamo venuti, e lui mi disse “andavamo sull’Aspromonte nelle domeniche pomeriggio dove suonavano la tarantella, ballavano, si facevano dei grandi pic-nic” e mentre noi giocavamo lui suonava e cantava. Alla fine tutto è tornato alla memoria! Stavamo facendo quell’album esattamente per questo motivo, per la perdita della memoria culturale e tutto ciò ad essa connesso. Quindi invitai mio padre allo studio. Abbiamo registrato un pezzo e lui suonò come se avesse suonato l’ultima volta solo ieri. L’album è disponibile sul nostro sito web www.kosamusic.com
Bellissima storia! Credo che la memoria culturale sia importantissima. E riguardo al futuro invece? Quali i progetti in serbo?
Per noi è veramente importante continuare a fare quello che facciamo, cercando di influenzare positivamente le menti, cercando di dare il più possibile attraverso questi programmi, attraverso il nostro insegnamento personale. Viaggio ancora molto, facendo clinics, workshops, cercando di influire positivamente sulle persone.
L’anno scorso sono stato invitato dal Senato Canadese. Stanno facendo la Canadian International Policy. Sono stato invitato assieme ad altre poche persone per donare la mia esperienza e la mia opinione riguardo a come la politica culturale in Canada ed all’estero debba essere. È stata veramente una fantastica esperienza. Stanno facendo qualcosa di importante con le politiche culturali, ne riconoscono l’importanza. Quindi in generale, ciò che per me è importante è fare la nostra piccola parte in maniera positiva e meglio che possiamo.