Arte e spettacolo
15:52pm7 Agosto 2019 | mise à jour le: 7 Agosto 2019 à 15:52pmReading time: 3 minutes

”La Dolce Vita en Exil”, una storia di immigrazione, amore e nostalgia

”La Dolce Vita en Exil”, una storia di immigrazione, amore e nostalgia
Photo: Foto Stephane Patrice FauliauTina Mancini sul palco

Francesca Sacerdoti    –   sacerdoti.francesca@gmail.com

 

Nella bella cornice di Piazza Dante abbiamo incontrato Tina Mancini, attrice, cantante, regista teatrale, che con la sua pièce “La Dolce Vita en Exil – Io Parto per l’America”, darà il via, il 9 agosto alle ore 20 alla Casa D’Italia , alle numerose attività culturali in programma per la S.I.

 Tina ci ha raccontato un po’ di se, dei suoi studi, dell’idea e delle ricerche che l’hanno portata a scrivere questo musical che racconta del difficile viaggio d’immigrazione dall’Italia al Canada compiuto da una donna coraggiosa negli anni ’50.

 

Com’è nata questa tua passione per la musica, per la danza, e cosa ti ha spinto verso questa carriera?

«Quando ero piccola vivevo in una zona italiana ad est di Montréal, Tétreaultville, dove a quel tempo facevo parte della chiesa San Domenico Savio. Per me era la mia famiglia, eravamo tutti molto vicini. Io andavo in chiesa e cantavo in una piccola corale, ed ogni volta che sentivo l’Ave Maria di Schubert mi toccava profondamente. Per questo ho avuto poi voglia di cantare ed ho iniziato così».

 

Che cosa è “la dolce vita” per te?

«Per me la dolce vita è questa idea d’Italia che abbiamo tutti: il cibo, il vino, la musica, il modo di vivere. Una vita bellissima, che qui non conosciamo. Ed è per questo “in esilio”, perché è la vita che abbiamo lasciato. Ed allora c’è questa sorta di tristezza. La dolce vita che esiste ora, esiste solamente nella nostra memoria, nel nostro cuore».

Tina prosegue raccontandoci anche della ricerca alla base della sua idea, che ha visto il coinvolgimento di tre donne speciali, Donatina Ricciardi D’Andrea, nonna di Tina, Carmela D’Addario e Maria Antonietta Pipicelli Cacciotti.

«Ho intervistato tre donne, che hanno fatto veramente questo viaggio di immigrazione e che ora hanno tutte 90 anni, capendo le loro esperienze e le loro vite. Ho pensato che volevo scrivere qualcosa sull’immigrazione, con canzoni napoletane, italiane e folkloristiche. Poi quando ci ho pensato bene – prosegue Tina – ho capito che anche io ho avuto delle esperienze “di partenza” che mi hanno segnata in un qualche modo, quando da piccola abbiamo lasciato il quartiere della mia infanzia, oppure più tardi quando ho dovuto lasciare Roma».

 

Cosa voleva dire essere donna ed immigrata allo stesso tempo?

«Mia mamma adesso lavora, ma prima è stata una casalinga, una madre di famiglia. Così anche mia nonna e molte altre donne che conoscevo e conosco. Avevano questa vita tradizionale, di famiglia, stavano a casa e per me questi sono sacrifici che non vengono onorati spesso. Ed io volevo dire grazie a queste donne che hanno fatto questa vita difficile e di sacrifici, interamente dedicata alla famiglia ed agli altri».

 

Cosa vuol dire per te la tua pièce alla Settimana Italiana?

«Mi sento veramente benedetta, perché quando stavo creando questo spettacolo mi sono detta: “deve andare alla Settimana Italiana perché è un lavoro per la mia comunità e per tutti gli italiani».

 

 

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