Rafforzare la rete consolare e dare un ministero agli italiani all’estero sono tra i punti fondamentali del MAIE, il Movimento Associativo Italiani all’Estero che in America Settentrionale e Centrale candida Vincenzo Odoguardi per la corsa al Senato.
Tra America Settentrionale e Centrale si contano poco meno di 400mila residenti di nazionalità italiana.
Tra questi, l’incidenza più alta riguarda emigrati di seconda o terza generazione, che vivono ben radicati sul territorio nazionale. A loro devono sommarsi una grandissima quantità di nuovi immigrati, più recenti, che non si evidenziano nelle liste ufficiali perché non iscritti all’AIRE, l’anagrafe per i residenti all’estero.
Per capire la profondità del fenomeno basta avvicinarsi alle lapidi delle guerre combattute dagli Stati Uniti o dal Canada: sicuramente ci saranno tra i caduti dei cognomi di italiani. E i cognomi italiani sono diffusi in interi quartieri, anche tra chi ormai si sente molto distante da quella patria che ha dato i natali a bisnonni e avi.
In America Settentrionale, infatti, si è arrivati ormai alla quinta, sesta generazione di migranti, gli italiani sono parte della storia di questa regione. La grande differenza tra i “vecchi” e i “nuovi” immigrati è che le nuove generazioni non sanno da dove provengono, qual è la storia migratoria della loro famiglia, quali le esigenze e le aspirazioni che hanno fatto da spinta per intraprendere il viaggio. Si crea così una frattura tra le esigenze delle comunità, una frattura nella quale però fa da collante la fortissima necessità di stabilire un vincolo di legame con l’Italia, la madrepatria, la terra di origine.
Per alcuni tale necessità si colma attraverso l’organizzazione di feste, riproponendo altrove i simboli della propria cultura di appartenenza, il folklore e la convivialità che richiama casa. La forza di questa appartenenza si dimostra con la lingua: attraverso l’italiano ci si identifica e ci si sente parte di un gruppo.
Per altri, soprattutto nelle generazioni più giovani, l’appartenenza va prima di tutto dimostrata legalmente. Spesso si tratta di persone che da anni attendono il riconoscimento della nazionalità italiana, troppo difficile e lunga da ottenere.
Per altri ancora, e qui mi riferisco alle generazioni meno giovani, le esigenze sono legate alle pensioni, all’IMU che si paga per l’iscrizione all’AIRE, alla mancanza di assistenza da parte dello Stato italiano.
È così che la stratificazione della migrazione italiana, quindi, si perde tra le file della burocrazia, che non riesce ad andare di pari passo con le richieste delle comunità locali nel riconoscere una serie di diritti e nel garantire una serie di servizi.
Diritti e doveri: i consolati
Per diverse che siano le esigenze e le necessità delle varie comunità di italiani all’estero, si può comunque riconoscere un denominatore comune: manca un sostegno sul territorio.
Detto in parole più semplici, c’è bisogno di più consolati.
In Canada ci sono comunità italiane che distano da un consolato o un consolato onorario fino a 2 ore, 2 ore e mezzo di aereo. Senza considerare che attualmente per il rilascio di un passaporto o il riconoscimento di una cittadinanza ci vogliono anni di attesa quando addirittura l’impossibilità di ottenere un turno.
Chi è che oggi copre le esigenze di questi italiani all’estero? In teoria ciò spetta al ministero degli Esteri, che attraverso le ambasciate e i consolati opera in maniera diretta sul territorio, o si può fare affidamento sui patronati, che storicamente sono presenti sul territorio occupandosi soprattutto degli aspetti previdenziali e pensionistici.
È evidente, però, che una presenza come quella che c’è oggi non è assolutamente sufficiente a soddisfare tutte le richieste degli italiani all’estero.
La rete consolare, la rete di ambasciate, la rete del ministero degli Esteri pare essere molto distante dal compiere il suo obiettivo primario, ovvero facilitare oltre che regolamentare la presenza degli italiani nel mondo.
Nelle agende politiche dei partiti romani, ciò difficilmente rappresenta una priorità. Il motivo è molto semplice: chi viene eletto tra le fila del partiti di stampo nazionale non è a conoscenza delle vere e reali esigenze degli italiani all’estero perché non è in prima persona un italiano all’estero.
La grande differenza del MAIE, di cui mi faccio qui portavoce, è quella di essere un movimento fondato da italiani all’estero per gli italiani all’estero, che conosce a fondo le comunità che vuole rappresentare perché vi è radicato all’interno, ne è parte.
La necessità di avere più consolati italiani sul territorio estero non nasce da un capriccio, ma da una profonda esigenza sia pratica che identitaria. Siamo italiani e vogliamo sentirci tali, con il supporto e l’appoggio da parte di uno Stato che è lontano solo sulla mappa.