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15:52pm13 Novembre 2018 | mise à jour le: 13 Novembre 2018 à 15:52pmReading time: 4 minutes

La storia dei “fotoni Arlecchino”

"Semplicemente scienza"

Fotoni Arlecchino

Disegno di Stefania Sciara

di Stefania Sciara – CSIC

«Credo di poter dire con sicurezza che nessuno comprende la meccanica quantistica». Diceva così Richard Feynman, premio Nobel per la fisica nel 1965, durante una delle sue lezioni universitarie.

D’altronde, chi non sgrana gli occhi quando sente parlare di “meccanica quantistica?” Sembra qualcosa di così astratto e lontano da noi! Tuttavia, essa è più vicina a noi di quanto non si pensi. E, sorprendentemente, può trovare applicazioni nella vita di tutti i giorni (o quasi).

Pensiamo, ai raggi solari. Se guardiamo attraverso il “microscopio” della meccanica quantistica la luce del Sole, ci accorgiamo che questa è composta da particelle senza massa, chiamate fotoni, che percorrono ben trecentomila chilometri al secondo e, in soli otto minuti, viaggiano dal Sole alla Terra. Noi non ce ne accorgiamo, ma ogni fotone nasconde dentro di sé una miriade di colori. È come se dentro ciascun fotone ci fosse un arcobaleno con migliaia di colori, anziché solo sette. Beh, potremmo a questo punto chiamarli “fotoni Arlecchino!”

Le proprietà di queste particelle sono quindi così speciali, che i fisici quantistici li hanno studiate molto a fondo al fine di conoscerle meglio e trarne benefici in ambito scientifico e tecnologico.

In particolare, parliamo del bizzarro fenomeno quantistico chiamato “entanglement” (letteralmente, ingarbugliamento). Due o più fotoni “entangled” sono così strettamente legati fra loro a tal punto da dipendere l’uno dall’altro, come in un legame di parentela vissuto a distanza. Infatti,  se due fotoni sono “entangled”, possiamo guardarne uno e conoscere con esattezza e all’istante tutte le proprietà dell’altro, senza che questo venga “disturbato” (cioè, osservato). C’è di più: questo trucco funziona indipendentemente dalla distanza che separa i fotoni! È come se sapessimo come sta e cosa fa un nostro parente che abita in Italia senza bisogno di telefonargli. Sarebbe davvero “cool” se anche noi avessimo questa capacità!

 

I computer quantistici

Come potrebbe tornare utile quindi tale “ingarbugliamento?” Semplice: possiamo utilizzare due fotoni “entangled” per trasmettere un’informazione, una comunicazione, o un messaggio segreto che nessuna spia può decifrare, da una parte all’altra del mondo (e non solo!) in tempi persino più brevi di quelli a cui siamo abituati oggi. Dall’informazione all’informatica il passo è breve: questi fotoni potrebbero addirittura permetterci di avere computer, chiamati per l’appunto computer quantistici, più potenti e veloci di quelli che usiamo oggigiorno. Sembra abbastanza interessante!

Ma per iniziare, concentriamoci sul colore dei fotoni, l’argomento di ricerca del mio team presso l’Institut National de la Recherche Scientifique di Varennes (Montréal). Nel nostro laboratorio abbiamo fatto parecchi studi teorici e numerosi esperimenti, riuscendo a generare coppie di fotoni “entangled” per quel che riguarda il loro colore. Conoscendo (misurando) il colore di un fotone, conosciamo quello dell’altro senza “disturbarlo”, un po’ come se io dal laboratorio sapessi di che colore è la maglietta di mio padre senza chiederglielo oppure vederlo. Tutto ciò, non attraverso apparecchiature complicate o fuori portata, ma con mezzi che vengono usati per le telecomunicazioni (le fibre ottiche, per esempio) e che possono essere persino messi in tasca.

In linea di principio, è possibile trasportare un’informazione, oppure comunicare attraverso i colori di ogni singolo fotone. Se si pensa ai colori del vestito del nostro “fotone Arlecchino”, si immagini quanta informazione e quante parole possiamo trasmettere utilizzando un solo fotone (quello che non viene “disturbato”, naturalmente).

Oggi, la strada verso un uso comune di computer quantistici, o verso una trasmissione velocissima di informazioni e parole è ancora in costruzione, ma sicuramente i mezzi per realizzarla ci sono, ed io e il mio team di ricerca stiamo contribuendo a questo grande obiettivo.

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