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14:27pm28 Aprile 2020 | mise à jour le: 28 Aprile 2020 à 14:27pmReading time: 3 minutes

La solitudine può diventare un momento di riflessione

La solitudine può diventare un momento di riflessione
Photo: Foto F. IntravaiaRita Amabili

“Le Riflessioni” di Rita Amabili

«Le cose stanno andando lentamente, bisogna avere pazienza, non si può fare altrimenti». Abbiamo invitato la scrittrice e teologa Rita Amabili, collaboratrice del nostro giornale, a condivedere con i lettori alcune riflessioni su questo periodo complicato in cui l’intera umanità sta lottando contro l’epidemia di coronavirus.

«La primavera – afferma l’autrice del libro “La lingère di Acquaviva” – è il periodo in cui tengo molte conferenze che, purtroppo, ora non si possono più fare. Penso, dunque, che bisogna prendere questo evento inatteso come un’occasione per fare di più con meno. Per questo dico ai lettori di tenere duro, di aggrapparsi al lavoro, alla famiglia, agli amici che si possono raggiungere per telefono o con tutti gli altri mezzi tecnologici a disposizione e di approfittare di questo periodo per fare quelle cose che in genere non abbiamo il tempo di fare».

 

La fede può aiutare a superare le difficoltà?

«Come teologa direi di sì. Direi di avere fiducia nello “spirito” che è sempre presente e che può fare in modo che la nostra solitudine sia meno pesante. Perché non pensare, ad esempio che, anche se una persona cara è scomparsa, può esserci sempre vicina ed ispirarci positivamente?

Ci sono eventi – afferma – che forse non abbiamo avuto il tempo di vivere veramente perché troppo impegnati nel tourbillon della vita quotidiana. Ma in questo periodo siamo quasi obbligati a farlo ed è una buona cosa perché ci approfondiscono umanamente.

Faccio un esempio. Recentemente abbiamo preso appuntamento, grazie alle nuove tecnologie, con degli amici per un aperitivo. È un nuovo modo di vivere il sociale, un modo virtuale ma non per questo meno importante che un incontro al ristorante. Anzi, forse è stato anche più intimo perché in tal modo le persone sono portate ad aprirsi e ad esprimersi più naturalmente. È un modo di dire: per me sei importante! Questo contatto ha cambiato la mia giornata. Se prima mi sentivo solo/a ora ho potuto avere una conversazione ricca e profonda. La mia solitudine non è più tale».

 

La pandemia ci ha resi più solidali?

«La solidarietà è un soggetto importante. Per me è un sentimento che deve essere sempre presente. Se solo ognuno di noi pensasse un po’ di più all’altro, al nostro prossimo ed alle sue sofferenze, la solitudine non sarebbe più la stessa e non sarebbe più tanto drammatica.

Penso spesso al domani della nostra umanità. Non so veramente se il mondo sarà diverso da prima – aggiunge – ma spero che sia più solidale. Se prendo ad esempio l’esperienza del 1998 anno in cui il Québec ha vissuto la cosiddetta “crisi del verglas” ci sono stati grandi slanci di solidarietà tra le persone. Ma finita l’emergenza tutto è tornato come prima. Quando il quotidiano ha preso il sopravvento sulla crisi la buona volontà è diminuita. Cosa ci resta oggi di quell’esperienza? Un bel ricordo! Ma la società è tornata come prima. Tutto questo fa un po’ paura. Sogno sempre un mondo pieno di solidarietà perché se io ti penso tu non sarai più solo».

 

Cosa possiamo dire alla comunità italiana?

La nostra è sempre stata una comunità forte. Ho sempre pensato che la mia forza, la mia perseveranza vengono proprio dal mio essere d’origine italiana. Ancora una volta penso che bisogna prendere questo periodo in modo positivo. Anche se il momento non è facile non bisogna reagire negativamente ma bisogna cogliere le opportunità che si presentano, quelle della solidarietà, dell’aiuto reciproco, dell’approfondimento dei rapporti personali e dell’amicizia. La pandemia passerà, le amicizie possono rimanere».

 

 

 

 

 

 

 

 

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