La Console Generale d’Italia risponde
Una disamina sui criteri per l’attribuzione della cittadinanza italiana non può prescindere da un accenno allo ius culturae: un principio non ricompreso nell’ordinamento giuridico italiano, su cui si è recentemente riacceso il dibattito.
Dopo aver trattato di ius sanguinis e di ius soli, questa settimana tratteggeremo le caratteristiche che contraddistinguono lo ius culturae. Ci interrogheremo sull’esistenza – o meno – di una possibile prevalenza di un criterio su un altro. Analizzeremo infine i motivi che spingono all’adozione o alla scelta di un criterio rispetto agli altri.
Quest’analisi è un ulteriore tassello che sedimenta la nostra progressiva conoscenza delle varie sfaccettature del prisma cittadinanza: una materia tanto complessa, quanto appassionante.
Cosa si intende per ius culturae?
Secondo questo principio, la cittadinanza di uno Stato sarebbe attribuita una volta comprovato il possesso di un certo livello di cultura e/o di istruzione del Paese di accoglienza. Per questo ci si riferisce a un “diritto per cultura”. Sebbene questo principio sia al momento del tutto estraneo all’ordinamento giuridico italiano, è un tema centrale nel dibattito sulla riforma della disciplina sulla cittadinanza, al vaglio del potere legislativo da un lustro, e tornato in auge dall’autunno scorso (2019), in concomitanza con la ripresa dell’esame di quest’importante riforma. Va subito chiarito che al momento si tratta solo di una potenziale, futura modalità di acquisto della cittadinanza, legata appunto all’istruzione, alla formazione, alla cultura.
In base allo ius culturae i/le minori stranieri/e possono acquisire la cittadinanza del Paese in cui sono nati/e o arrivati/e durante l’infanzia e in cui vivono da un certo numero di anni, a condizione che in quel Paese abbiano frequentato regolarmente almeno un intero ciclo di studi (scuole primarie o secondarie) o dei percorsi di istruzione e/o formazione professionale, per un periodo di tempo determinato. Questo criterio prescinde dunque sia dalla cittadinanza attribuita per discendenza/filiazione da uno o entrambi i genitori (ius sanguinis) sia da quella acquisita in base al luogo di nascita (ius soli).
Esistono regole sovraordinate che favoriscano un criterio di attribuzione della cittadinanza rispetto agli altri?
Secondo il Diritto Internazionale, cioè il complesso di norme giuridiche che disciplina i rapporti della comunità internazionale, ogni Stato è libero di stabilire i termini, le condizioni e i principi guida per l’attribuzione o la concessione della propria cittadinanza. Tutti i citati principi quindi – ius sanguinis, ius soli, ius culturae, ius matrimonii, ecc. – hanno pari livello. Tra di essi cambia la motivazione di fondo che spinge una società all’adozione esclusiva o alla prevalenza di un criterio su un altro.
Cosa sottendono i diversi criteri per l’acquisto della cittadinanza?
Ciascuno dei principi in parola corrisponde ad un precipuo interesse che una società vuole perseguire, promuovere o proteggere. Ad esempio, con lo ius sanguinis si punta a garantire che la prole degli/lle emigrati/e conservi la cittadinanza del Paese di origine anche quando si trovi a risiedere all’estero, finanche per diverse generazioni. Lo ius soli facilita una piena ed immediata inclusione della discendenza di cittadini/e stranieri/e nel tessuto sociale del Paese di accoglienza, sin dalla nascita. Lo ius culturae sarebbe infine suscettibile di agevolare un’assimilazione nella società locale dei/lle minori stranieri/e, anche in età più avanzata rispetto alla nascita o alla primissima infanzia, proprio per il tramite di acquisite conoscenze culturali e/o di formazione civica. Per quanto riguarda i criteri di acquisto della cittadinanza in età adulta, lo ius matrimonii ha, tra gli altri, lo scopo di mantenere e salvaguardare l’esigenza sociale di unità di un nucleo familiare, mentre l’istituto della naturalizzazione punta a una piena integrazione dell’individuo adulto nella società di immigrazione, presso la quale ha vissuto e operato per un lungo periodo.
Come accennato la scorsa settimana, non ci occuperemo nel corso della nostra trattazione della naturalizzazione dello/a straniero/a in Italia. A seguito delle richieste ricevute sinora, una pillola futura analizzerà brevemente questo tema, focalizzando l’attenzione sulla naturalizzazione che ha riguardato i/le cittadini/e italiani/e all’estero, prima della legge n. 91/1992 e sulla conseguente, automatica, perdita della cittadinanza italiana per chi si è dovuto/a o voluto/a naturalizzare. In quell’occasione dedicheremo uno congruo spazio alle modalità di riacquisto della cittadinanza, come disciplinate dall’art. 13 della legge in parola.
Continuate quindi a seguirci e ad inviare quesiti sulle materie consolari di vostro interesse alla redazione del Corriere Italiano (fintravaia@metromedia.ca) che ce le farà pervenire. Saremo felici di occuparcene, una volta terminato questo ciclo sulla cittadinanza.
Con molti cordiali saluti,
La vostra Console Generale,
Silvia Costantini