Tra Toscana e Romagna dove Dante scrisse la Divina Commedia
Ansa – FIRENZE – Il 25 marzo è stata una data speciale: è stato festeggiato il Dantedì, la giornata nazionale dedicata all’autore della Divina Commedia, di cui quest’anno si celebrano i 7 secoli dalla scomparsa. Secondo gli studiosi è il giorno in cui il Poeta cominciò il viaggio negli inferi, creando una delle più grandi opere della letteratura universale.
Per ricordare la sua vita e omaggiare il suo genio vi portiamo nei luoghi che lo ispirarono: tra la natura e i borghi di Toscana ed Emilia Romagna dove Dante Alighieri, ospite di potenti corti e famiglie, cercò pace e riscatto e scrisse gran parte del suo capolavoro, abbandonando il latino e scrivendo nel volgare della gente comune.
Deluso e amareggiato da Firenze, la sua amata patria, fu costretto a scappare per reati che giurava di non avere mai commesso e per aver parteggiato per i Guelfi bianchi in una città che era passata sotto il dominio dei Guelfi neri.
Percorriamo dunque le strade e le antiche vie che Dante attraversò nel 1302 per sfuggire ai fiorentini e che l’associazione “Cammino di Dante” (camminodante.com) ha mappato e digitalizzato: dalla natia Firenze a Ravenna, dove morì, in un percorso ad anello di 400 chilometri divisi in 21 tappe che rappresentano un tour ricco di fascino naturalistico e di spunti culturali, lungo il quale sono affisse citazioni della Divina Commedia.
Partiamo da Firenze, dove in via Santa Margherita si trova la sua casa-museo: un tour virtuale e interattivo ci permette di conoscere la sua vita e le sue opere.
Lasciata la città ci si incammina verso Arezzo e l’Alto Casentino, dove ci si perde nella natura suggestiva del parco nazionale delle Foreste Casentinesi tra borghi, eremi, castelli e santuari. Il primo luogo dantesco è la medievale Poppi, dove il Poeta trovò l’appoggio dei signori locali e l’atmosfera ideale per scrivere la prima delle tre cantiche della “Divina Commedia”. Il borgo, oggi, è tutto un omaggio a Dante: c’è un suo busto bronzeo che troneggia all’ingresso del possente castello duecentesco e il suo nome è immortalato su targhe e insegne di taverne e alberghi, persino sulle etichette dei prodotti in vetrina sotto i portici del borgo.
A 7 chilometri si raggiunge Campaldino dove, da giovane, Dante aveva combattuto per Firenze nella battaglia vinta contro gli aretini e dove più tardi venne ospitato nelle magnifiche dimore dei conti Guidi. Poco fuori l’abitato c’è Romena con la pieve romanica di san Pietro e il fascino struggente dei castelli diroccati.
Il cammino prosegue verso il confine con l’Emilia-Romagna, passando accanto a Camaldoli, che ospita il sacro eremo e il monastero dei monaci benedettini: è un’oasi di pace protetta da fitte abetaie e un luogo perfetto dove rifugiarsi. La strada si inerpica tra il passo della Calla e stretti sentieri segnati da piccoli corsi d’acqua fino al monte Falterona, descritto nel XIV canto dell’Inferno e dove una targa ricorda il passaggio del Poeta.
Qui nasce l’Arno e, lungo il suo corso, si arriva al lago degli Idoli, piccolo specchio d’acqua oggi scomparso, luogo sacro per gli Etruschi. Tornando sulla strada che porta a Forlì, si arriva all’abbazia benedettina di san Godenzo, dove nel 1302 Dante partecipò a una riunione segreta di fiorentini fuggiaschi che tramavano contro i Guelfi neri.Seguendo la segnaletica si passa vicino all’area archeologica di Frascole e si raggiunge il centro di Dicomano, che ospita un ricco museo di reperti etruschi e un centro storico con loggiati comunicanti; è da qui che inizia la strada verso la Romagna utilizzata da Dante durante la sua fuga. A Passo del Muraglione il cammino arriva a san Benedetto in Alpe, in Romagna, un paese di origini antichissime, dove, in località Il Poggio, sorge l’antica abbazia di san Benedetto.
Una deviazione porta all’alta cascata Acquacheta del fiume Montone, il cui fragore è citato da Dante nel XVI canto dell’Inferno. La strada si inerpica tra i tornanti fino al Passo della Peschiera sull’Appennino; prima di cominciare la discesa merita una sosta il piccolo borgo di Marradi, dove si narra che Dante venne derubato del suo cavallo.
E’ il luogo natio di Dino Campana e il rifugio di tante famiglie nobili e potenti costrette all’esilio che fecero costruire eleganti palazzi, come quello comunale del XIV secolo e il teatro degli Animosi. Si deve tornare a san Benedetto in Alpe per riprendere la strada verso il borgo di Portico di Romagna, dove si visita il trecentesco palazzo Portinari che, secondo la tradizione, sarebbe appartenuto a Folco Portinari, padre di Beatrice, l’amata musa di Dante.
Si prosegue poi per il borgo medievale di Brisighella, famoso per la grotta Tanaccia, una delle più belle del parco regionale della Vena del Gesso, e per i tre fiabeschi e spettacolari pinnacoli rocciosi.
Siamo in Romagna e il cammino sui luoghi danteschi arriva a Faenza, la città della ceramica artistica, dove si passeggia tra l’elegante piazza del Popolo e palazzo Milzetti con i soffitti affrescati in stile neoclassico. Percorrendo l’antica Via Emilia si giunge a Forlì, descritta da Dante nel Purgatorio come un luogo incantevole con il settecentesco palazzo nobiliare Paulucci de Calboli, che sorge non lontano dall’abbazia di san Mercuriale, simbolo della città; qui Dante trovò rifugio presso i signori ghibellini Ordelaffi.
Scendendo verso il mare si arriva a Pineta di Classe, una suggestiva area boschiva che Dante cita nel XXVIII canto del Purgatorio come “paradiso terrestre”, in cui il Poeta e Virgilio entrano nell’ultimo giorno del loro viaggio ultraterreno. I suoi paesaggi, i colori e le luci ispirarono il Poeta che trascorse gli ultimi anni della sua vita con i figli nella vicina Ravenna.
Durante il soggiorno ravennate il Poeta si dedicò al Paradiso, l’ultima delle tre cantiche, ma in realtà in tutta la Divina Commedia sono presenti riferimenti alla città e ai suoi personaggi più importanti. Dante morì il 14 settembre 1321 dopo aver contratto la malaria e fu sepolto nella basilica di san Pier Maggiore, oggi di san Francesco, dove furono celebrate anche le esequie. I frati francescani decisero di nascondere i suoi resti mortali che furono ritrovati solo nel 1865 in una scatola dentro a un muro del convento. Tumulati di nuovo, oggi riposano nella “zona del silenzio”, un luogo di rispetto intorno al sepolcro del più grande poeta italiano.