Cultura
16:01pm23 Ottobre 2018 | mise à jour le: 23 Ottobre 2018 à 16:01pmReading time: 8 minutes

Le conferenze della Settimana della lingua italiana nel mondo

Annamaria Testa e "l’itanglese". Annalisa Andreoni e la "lingua più bella"

Annamaria Testa è esperta in comunicazioni e consulente aziendale

Foto Fabrizio Intravaia

Ma che lingua parlano gli italiani di oggi? È la domanda alla quale ha cercato di rispondere Annamaria Testa,  insegnante universitaria, giornalista, pubblicitaria, nel corso di una conferenza tenutasi il 17 ottobre scorso all’Universitè de Montréal.

E la sua risposta è stata che al momento, la lingua italiana sta subendo una vera e propria invasione di termini inglesi utilizzati quasi sempre a sproposito e senza una ragione specifica in quanto nella nostra lingua esiste il corrispettivo in italiano che spesso risulta essere anche più preciso ed efficace.

Qualche esempio?

«In Italia – ha spiegato Annamaria Testa – si sente dire: “Ti faccio una call” (4 parole, 15 caratteri),  quando si potrebbe semplicemente dire: “Ti chiamo” (2 parole, 8 caratteri). Oppure: “Faccio un “dawnload” (3 parole 16 caratteri) al posto di “scarico” (1 parole, 7 caratteri). “Dov’è la location?” (4 parole, 14 caratteri) invece che: “dov’è il posto?” (4 parole, 11 caratteri).

L’elenco è impressionante: “buyer” al posto di “compratore”,  “community” invece di “comunità”, “fashion” al posto di “moda”, “wine” al posto di “vino” e così via, ogni settore ha il suo linguaggio e il suo lotto di parole inglesi utilizzate senza ragione.

Prendiamo – continua l’esperta in comunicazioni – il linguaggio della moda.

“Il look curvy-friendly più glamour – si legge nella rivista “Vogue Italia” – viene direttamente dalle passerelle della fall-winter”. Perché dobbiamo dire “curvy” e non “formosa?” Perché dire “fall-winter” e non “autunno-inverno?” Qual è il valore aggiunto di dire “fall-winter”? “Fall-winter” è più “autunno-inverno” del nostro autunno-inverno?

E il linguaggio della politica? Con i suoi “jobs-act” e “stepchild adoption”? Quello della pubblica amministrazione e quello tecnico-professionale con i suoi “mentoring”, “coaching”, “panel”, “tutoring”, utilizzati completamente a sproposito?

 

Prendiamo uno dei settori d’eccellenza della produzione italiana, quello agroalimentare che ha un valore, in termini di esportazione di 41 miliardi di euro (2017). Le parole italiane relative a questo settore, come, ad esempio, la “pizza”, sono entrate nel vocabolario di tutte le lingue del mondo. Basti pensare al fenomeno dell’ <@Ri>”italian-sounding”<@$p>, all’uso cioè, nel mondo, di parole che ricordano l’italiano per attirare i consumatori. Ebbene come gli italiani stessi combattono l'”italian sounding?” Riccorendo, per quanto riguarda la promozione dell’agroalimentare all’estero, a slogan e frasi inglesi come “Extraordinary italian taste!”».

La quarta lingua più studiata al mondo

«È vero anche – continua – che gli scambi di parole tra le lingue sono sempre esistiti. Ad esempio, le parole “festival”, “moquette”, “tram”, “hot-dog” sono entrate nel linguaggio comune degli italiani perché non hanno un corrispondente altrettanto efficace nella nostra lingua. Le lingue sono entità vive, si “rubano” le parole, quando è necessario, ma ultimamente assistiamo ad un vero diluvio di termini in inglese.

Eppure stiamo parlando dell’italiano, la lingua più romantica del mondo secondo un sondaggio condotto tra 220 linguisti, della 21ma lingua al mondo per numero di parlanti, della quarta lingua più studiata al mondo dopo inglese, francese e spagnolo, della lingua studiata dagli stranieri per “amore”, per il suono.

L’Italia è 21ma su 26 paesi europei per conoscenza dell’inglese. Lo usiamo senza saperlo. Secondo un sondaggio gli italiani che non sanno l’inglese sono il 51,9%. Tra quelli che parlano inglese solo il 7,2% lo parla bene. Il che vuol dire che una persona su due non capisce di cosa si sta parlando. E quello che si sta parlando è un “itanglese” ovvero una mescolanza, ignobile, di italiano e inglese.

E perché si parla “itanglese?” Per pigrizia, per voglia di pavoneggiarsi, per provincialismo, per scarsa conoscenza dell’italiano, per scarsa conoscenza dell’inglese.

In fondo – conclude Annamaria Testa – basta poco per migliorare la situazione, dei buoni esempi e delle buone pratiche. Ma l’italiano siamo tutti noi, spetta a noi la responsabilità della sua “manutenzione”, perché con la lingua esprimiamo il nostro pensiero e la nostra creatività, la nostra specificità culturale».

 

Dillo in italiano

La professoressa Annamaria Testa si è fatta promotrice di “#dilloinitaliano”, una petizione in rete, sostenuta dall’Accademia della Crusca, per difendere la nostra lingua dall’abuso di termini stranieri che sta avendo un grande successo e che ha raccolto oltre 70mila adesioni.

Per informazioni: https://nuovoeutile.it/dilloinitaliano-successo/

 

 

 

La “lingua più bella” vista dagli stranieri

Tra le varie conferenze tenutesi in occasione della <“Settimana”, spicca quella della professoressa Annalisa Andreoni che ha messo in luce il perché la nostra lingua piaccia così tanto agli stranieri che se ne invaghiscono e la studiano per puro piacere culturale.

Annalisa Andreoni docente di letteratura italiana all’Università IULM di Milano. A destra la professoressa Gabriella Lodi, consigliere programma di studi italiani all’UdM

Foto Fabrizio Intravaia

«Quando ho scritto il mio libro “Ama l’italiano. I segreti della lingua più bella”, una delle cose che mi sono chiesta – ha detto la professoressa Andreoni, autrice di numerosi saggi e libri sull’italiano – è stata: come ci vedono gli stranieri? Come vedono l’italiano coloro che non sono di madrelingua italiana? Allora mi sono divertita a raccogliere una serie di opinioni di scrittori, artisti che nel corso del tempo hanno parlato della lingua italiana».

Alcuni esempi

“Sono veramente innamorato di questa bellissima lingua, la più bella del mondo. Ho soltanto bisogno di aprire la mia bocca e involontariamente diventa la fonte di tutta l’armonia di questo idioma celeste. Sì, caro signore, per me non c’è dubbio che gli angeli nel cielo parlano italiano.

Così si esprime il protagonista del romanzo dello scrittore tedesco Thomas Mann “Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull”. Questa citazione, che è in italiano nell’originale, è famosissima ed è diventata quasi l’emblema di un’opinione largamente condivisa da poeti, scrittori e artisti sulle bellezze della lingua italiana.

In realtà, l’associazione tra l’italiano e la bellezza – spiega la professoressa – è presente da secoli nell’opinione dei viaggiatori, degli scrittori e dei poeti di tutto il mondo.

A partire dal ‘700 e ancor più nell’800 romantico, all’italiano sono state attribuite caratteristiche di dolcezza, musicalità, varietà e libertà.

La scrittrice francese Madame de Staël, nel romanzo “Corinna o l’Italia” (1807), oltre a parlare delle bellezze del nostro paese stabilisce un paragone tra la lingua italiana e quella inglese: “Le parole italiane giungono all’orecchio brillanti come un giorno di festa, ma se vengono pronunciate con dolore toccano il cuore più profondamente di quanto possano fare quelle inglesi che sono malinconiche per natura… .

 

La grande bellezza

L’italiano – si chiede la Andreoni – è veramente bello come dicono? Se lo chiedessimo ad un linguista ci risponderebbe che nessun argomento scientificamente fondato permette di affermare che una lingua sia più bella di un’altra, la bellezza è un fatto soggettivo.

L’italiano è stato, per secoli, la lingua della letteratura, delle arti, del canto e della musica, ma anche della scienza e della tecnica. E oggi la bellezza italiana significa anche paesaggio, cucina, moda, design e stile di vita, e tutto ciò è inscindibile dalla lingua in cui tutto questo è stato pensato e ha preso forma. È per questo – aggiunge – che la lingua italiana è amata nel mondo. La bellezza, è vero, è un fatto soggettivo però, nel caso dell’italiano, dobbiamo ammettere che si tratta di un’impressione soggettiva di tanta gente».

 

“Mangia, prega, ama”

Cosa amano, in particolare, gli stranieri della lingua italiana? «Se poniamo questa domanda – risponde l’autrice del libro – scopriamo che nella maggior parte dei casi la lingua italiana viene associata alla bellezza dell’Italia tutta e che la spinta ad apprendere l’italiano viene dal desiderio di godere pienamente di ciò che di bello l’Italia offre. La scrittrice americana Elizabeth Gilbert, autrice del romanzo “Mangia, prega, ama”, da cui è stato tratto l’omonimo film con Julia Roberts, spiega molto bene qual è la molla che spinge gli stranieri ad intraprendere lo studio della lingua italiana: “Da anni – scrive – desideravo imparare l’italiano, una lingua che trovo più bella delle rose ma non riuscivo a trovare la minima giustificazione pratica per cominciare. Ma perché tutto deve avere sempre un’applicazione pratica? Per anni ero stata un soldato obbediente, avevo lavorato, prodotto, rispettato le scadenze…  La vita è fatta forse solo di doveri? Ma il fatto è che l’italiano mi piaceva proprio, ogni parola era per me il canto di un passero, una formula magica, un tartufo profumato. Correvo a casa sotto la pioggia e dopo la lezione, facevo un bagno caldo e immersa nella schiuma leggevo ad alta voce il vacobolario italiano, mentre le angosce del divorzio diventavano un lontano ricordo…”.

Non si tratta di una motivazione utilitaristica come quella che porta a studiare l’inglese. Gli stranieri non si accostano all’italiano per “dovere” ma vogliono impararlo perché trasmette loro il piacere della bellezza».

 

Definizione dell’italiano

Nel corso del tempo l’italiano – secondo lo studioso e linguista tedesco Harro Stammerjohann – è stato percepito dagli stranieri come: “elegante, musicale, delicato, femminile, liscio come la seta, armonioso, dolce, florido, gentile, gradevole, grazioso, melodico, piacevole e seducente”. Serve altro?

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