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15:32pm27 Aprile 2017 | mise à jour le: 15 Giugno 2021 à 19:59pmReading time: 6 minutes

La tragedia di Michele Scarponi, campione travolto da un camion

Ansa – È stata accolta da applausi scroscianti la bara del campione marchigiano di ciclismo Michele Scarponi appena entrata nel campo sportivo di Filottrano, dove sono stati celebrati i funerali. Oltre 5.000 le persone riunite nello stadio. “Michele è esempio di sacrificio, non per primeggiare, ma per essere compagno; un esempio di collaborazione, dell’essere squadra”, ha detto l’arcivescovo di Ancona-Osimo card. Edoardo Menichelli nell’omelia, concelebrata con altri 5 sacerdoti.

“Lui era proprio così come appariva. L’uomo e il personaggio erano la stessa cosa. Questo – ha detto Luca Ceriscioli, presidente della Regione Marche – è quello che ho sempre sentito dire di Michele Scarponi. È un grande della nostra regione quello che salutiamo oggi e speriamo che tutti i marchigiani si stringano attorno alla famiglia, che vive un momento di grande dramma. Siamo qui anche per testimoniare la vicinanza della Regione alla comunità di Filottrano, che è molto unita e che sente molto questo momento. Noi perdiamo un grande campione, un grande uomo e speriamo che il suo esempio rimanga sempre”.

 

Migliaia di persone sono affluite alla camera ardente allestita nel Palazzetto dello sport di Filottrano (Ancona) dallo Scarponi Fan Club per dare l’ultimo saluto al campione marchigiano. Commosso e compatto l’omaggio del mondo sportivo, con i vecchi compagni di squadra e il ds della Lampre-Merida Orlando Maini, team al quale ‘Scarpa’ era approdato nel 2011. Anche la mamma del ‘Pirata’ Marco Pantani ha fatto visita con il marito alla camera ardente. Tonina Pantani si è soffermata a parlare con i genitori del campione marchigiano.

Era nato a Jesi, altra terra di campioni, anche se di diversa specialità, ma la vita l’aveva trascorsa a Filottrano, un comune di neppure 10 mila abitanti dove, quando non era impegnato nelle gare fuori casa, si allenava con scrupolo ogni giorno in sella alla bicicletta, macinando chilometri su e giù per le colline a lui care. Ed è qui che si è chiusa, il 22 aprile scorso, la parabola di Michele Scarponi, volto sorridente del ciclismo italiano, falciato da un furgone a pochi passi da casa. Il corridore marchigiano, ribattezzato l’Aquila di Filottrano, aveva da poco iniziato il proprio allenamento quando, poco dopo le 8, a un’intersezione tra via dell’Industria e via Schiavoni, si è scontrato con un autocarro Fiat ‘Iveco’, condotto da un 57enne del posto. Sembra che vittima e investitore si conoscessero, come è facile in una comunità piccola come quella filottranese: Scarponi percorreva la strada in discesa, il furgone stava svoltando a sinistra per immettersi sull’altra strada. Secondo i carabinieri, l’autista dell’Iveco non avrebbe dato la precedenza. L’uomo, che è indagato per omicidio stradale, avrebbe raccontato ai militari di non avere visto Scarponi, perché in quel momento aveva il sole negli occhi. Il ciclista si è schiantato sul parabrezza del mezzo, lato destro, dove è visibile una grossa ‘ragnatela’ prodotta dall’impatto del corpo.

I soccorsi sono arrivati subito, ma per Michele non c’era più nulla da fare: il suo corpo era straziato dal violento impatto. La notizia si è sparsa in un battibaleno a Filottrano, che ora piange il ‘suo ragazzo’. Un ‘ragazzo’ di 37 anni, gentile, sempre sorridente, alla mano.

 

Scarponi lascia due gemellini di 5 anni, Giacomo e Tommaso, avuti dalla moglie Anna Tommasi, veneta di Conegliano, che su Instagram ha ringraziato tutti, raccogliendo in pochi minuti migliaia di ‘mi piace’. Una vicenda terribile che ha scosso profondamente tutti. E che rilancia con prepotenza il tema della sicurezza. “Dobbiamo sempre porre maggior attenzione alla sicurezza stradale, dei ciclisti e delle persone che stanno sulla strada quotidianamente”, ha detto il ministro dello Sport, Luca Lotti.

 

Campione e gregario

Michele Scarponi era questo. E a 37 anni, un Giro d’Italia in bacheca (vinto nel 2011), si preparava ad una nuova avventura nella corsa rosa, stavolta da capitano dell’Astana. L’Aquila di Filottrano ha chiuso le ali per sempre in un giorno qualunque di primavera. Scarponi era tornato a casa ieri sera con il sorriso sulle labbra, come sempre, perché aveva chiuso positivamente il Tour of the Alps, vincendo la prima tappa in Austria, ma soprattutto avvertendo buone sensazioni in vista del 100/o Giro d’Italia, dov’era stato scelto come capitano al posto dell’infortunato Fabio Aru. E dove voleva presentarsi al top. Invece, a pochi metri da casa, ha trovato la morte. Un destino crudele, beffardo, gli ha stroncato la vita a soli 37 anni. Era sceso ieri dalla bici che amava, vi è risalito subito, stamattina, perché voleva presentarsi ad Alghero, il 5 maggio, all’appuntamento con la corsa rosa, nelle migliori condizioni possibili. Perché, a 37 anni, ripeteva Michele, “si ha ancora fame”. E infatti, il marchigiano aveva voglia di stupire, di scalare, di macinare chilometri, di regalare successi e sorrisi. Non potrà più farlo. Il suo amore per i pedali era nato da bambino: per la prima comunione ricevette in dono una bici e, a otto anni, si tesserò per la Pieralisi di Jesi. Il primo vero successo è datato 1997, all’età di 17 anni, nel Campionato italiano Juniores, dopo una piccola-grande impresa al Castello di Caneva. Cominciò quel giorno l’ascesa di un corridore capace di qualsiasi risultato.

Gli si aprirono le porte della Nazionale e partecipò alla prova di categoria a San Sebastián, nei Paesi Baschi, lottando per la vittoria, prima di essere fermato da una foratura. Passò professionista nel 2002, gareggiando per Acqua & Sapone-Cantina Tollo, la squadra di Mario Cipollini: al debutto fra i professionisti conquistò una vittoria di tappa nella Settimana ciclistica lombarda. L’anno dopo si mise in luce nelle classiche di un giorno, ottenendo un 7/o all’Amstel Gold Race, e un 4/o alla Liegi-Bastogne-Liegi. Nel 2005 si trasferì in Spagna, alla Liberty Seguros-Wuerth di Manolo Saiz, fu in quel periodo che si mise in luce nelle corse a tappe. Nel 2005 si trasferì in Spagna, alla Liberty Seguros-Wuerth di Manolo Saiz e l’anno seguente venne coinvolto, insieme ad alcuni compagni di squadra, nell’Operación puerto, dopo avere ammesso alla Procura Coni i rapporti col famigerato medico Eufemiano Fuentes; venne squalificato nel luglio 2007 per 18 mesi e rientrò alle gare nella stagione 2009, quella del Giro d’Italia del centenario.

Nel 2010 vinse la Tirreno-Adriatico, con la maglia della Diquigiovanni Androni e, nello stesso anno, al Lombardia si arrese solo a Gilbert. Nel 2011 approdò nella Lampre, chiudendo il Giro d’Italia al secondo posto, alle spalle di Contador. La squalifica dello spagnolo, positivo al Clenbuterolo, gli permise di indossare virtualmente la maglia rosa, che gli venne consegnata – assieme al trofeo – a Herning (in Danimarca), alla partenza del Giro 2012. Quel giorno, come sempre sorridendo a 32 denti ‘Scarpa’ disse ai giornalisti: “Mettetela come vi pare, ma sempre di un successo si tratta”. Altro che vittoria ‘a tavolino’.

Al prossimo Giro si sarebbe presentato da capitano dell’Astana, la squadra dove era rimasto per stare al fianco di Aru, dopo che aveva rifiutato il passaggio alla Bahrain-Merida di Vincenzo Nibali. Negli ultimi anni si era distinto come gregario di lusso, costruendo i successi del sardo come del siciliano, alla Vuelta come al Tour.

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